mercoledì 13 novembre 2019

Marco Ponti, Ombre che camminano, Salani


Frederic è un ragazzino di prima media, con tutti i problemi e le contraddizioni che la sua età regala ad ogni adolescente. Per peggiorare le cose, Frederic è appena arrivato a Torino dagli Stati Uniti, con sua madre Beatrix, che ha lasciato la cattedra di Meccanica Quantistica per seguire il marito Alessandro, scrittore in cerca di ispirazione. La sua famiglia si è sistemata in una grande villa della città, un po’ fatiscente, non certo pratica e comoda, ma sicuramente particolare. Freddy ha due amici, Liz la chiacchierona e Ben il silenzioso, un po’ strambi anche loro e per questo vittime di un gruppo di bulli di città: ma insieme i tre stanno bene, si capiscono e questo è già davvero tanto! Eppure lui si sente solo, abbandonato anche dal suo amico immaginario, rimasto in America. E poi i suoi genitori sono così distanti, gelidi e sempre soprapensiero. Si sono persino scordati il giorno del suo compleanno! E allora che fare? Nonostante quella villa gli dia i brividi, non resterà che esplorarla, magari cominciando dalle cantine, così antiche e polverose.
Qui comincia un’avventura sconvolgente, in cui i tre amici dovranno affrontare paure ben più grandi di una semplice banda di bulli maneschi. Impareranno a credere a ciò che vedono, anche se è assolutamente impossibile; impareranno a fidarsi l’uno dell’altro e a farsi nuovi amici, senza badare all’età o al passato di ciascuno di loro. Nel corso di poche ore i tre ragazzini scopriranno l’importanza dell’amicizia e dell’amore, che supera ogni barriera, compresa quella del tempo.

Leggete questo romanzo con gli occhi di un ragazzino, ma apprezzatelo per i riferimenti letterari, per le immagini di una Torino affascinante, per gli eventi storici che non devono mai essere dimenticati. 

venerdì 18 ottobre 2019

Sebastiana Fortuna Buscemi, A piedi nudi sulla strada, Impremix Edizioni

Siamo nell'assolata e opulenta Sicilia degli anni Trenta. Sebastiana è una bimba di pochi anni, che vive insieme alla sua numerosa famiglia a Castellammare del Golfo, un paese della provincia di Trapani. La madre è una sarta molto richiesta, con un atelier rinomato e una trentina di sarte alle sue dipendenze. Ma lei ha altri progetti: vuole per i suoi figli un'educazione cittadina, che li porti a compiere studi avanzati. 
Convince il marito, impiegato alle poste come invalido di guerra, a preparare un concorso e, una volta passatolo, a trasferirsi a Palermo. 
Comincia, per la famiglia Buscemi, una nuova vita. Chiuso l'atelier, si trasferiscono in un grande palazzo, trasformandolo in pensione. Il destino, però, ha disegni ben diversi e l'Italia entra in guerra. La povertà tocca tutti i ceti, spingendo i disonesti al mercato nero. La famiglia Buscemi soffre la fame; il denaro non basta mai, e i pensionati scarseggiano. Ma il peggio deve ancora arrivare: una notte cominciano i bombardamenti degli americani. La città viene colpita, i palazzi crollano, gli impianti saltano. 
Sebastiana ha imparato, con i fratelli e la madre, a scappare in gran fretta, prendendo i bimbi più piccoli in braccio o per mano. Ha imparato a dominare la paura per il fragore delle bombe, ad evitare i cavi elettrici divelti, a rifugiarsi fingendo di non sentir tremare la terra e i muri. 
Poi arriva il 1943, gli americani sbarcano e la vita, in mezzo a mille difficoltà, sembra riprendersi. Sebastiana ci porta nell'arida campagna dove erano sfollati, e poi di nuovo in città, a cercare un possibile futuro, anche nell'emigrazione in America. 
Con una prosa ricca e scorrevole, la Buscemi ci porta indietro nel tempo, lontano dalle nostre sicurezze e comodità, per dipingere il ritratto di una grande donna e di una famiglia tenace e coraggiosa, che ha saputo rialzarsi dalla polvere grazie all'onestà e all'intelligenza. 
Una saga familiare da leggere assolutamente, come un romanzo, ben sapendo che si tratta di una storia vera.

martedì 10 settembre 2019

Andrea Molesini, La primavera del lupo, Sellerio

Ho letto soltanto adesso, a sei anni dall'uscita, La primavera del lupo, di Andrea Molesini. Il libro era lì, ad aspettarmi sul ripiano della libreria, ma non mi sembrava mai il momento. L'amarezza del tema, il periodo storico più discusso della storia d'Italia, la narrazione affidata ad un bambino orfano di dieci anni mi facevano immaginare un romanzo doloroso, la cui lettura serale difficilmente avrei sopportato. Così non è. Iniziato durante una domenica di relax, mi è stato facile, anzi doveroso, terminarlo rapidamente. 
Il dolore c'è: due bambini di dieci anni, Dario ebreo e Pietro cattolico, sono tenuti nascosti nel convento di San Francesco del Deserto, che si trova su un'isolotto davanti a Venezia. Siamo nel marzo 1945, la guerra sta per finire e l'Italia è frammentata e confusa. In uno degli ultimi accessi d'odio dell'antisemitismo, i tedeschi arrivano al convento, in cerca del bambino e di due sorelle, anch'esse ebree, anch'esse nascoste. Nella notte si deve fuggire, Pietro va con loro, guidati da frate Ernesto e da suor Elvira. Una barca, manovrata da quello che Pietro chiama Lirlandese, li porta al largo. 
È l'inizio di una fuga ricca di colpi di scena, che porterà il gruppo dalla laguna al mare e di nuovo alla terraferma, fino ai boschi del Trentino. Intanto inizia e finisce aprile e comincia maggio, ma il lettore non se ne avvede, se non dalle rare date scritte da suor Elvira su fogli che usa come diario della fuga e come sfogo per il suo segreto. Il gruppo fugge di notte, nella nebbia, nel bosco; la natura non cambia e non si vede; si sente freddo, ci si bagna, si mangia pochissimo e male. Qualcuno non ce la fa, altri entrano in scena. Primo fra tutti Karl, un tedesco che ha sofferto e, per questo, ha cambiato idea. 
Non mi pento di aver letto questo romanzo: il dolore si stempera nella parole ingenue e ridicole di Pietro, la storia d'Italia resta come sfondo sfumato di confusione e ingiustizie. Ammetto, però, di non esserne rimasta del tutto convinta. 
Innanzitutto la prosa di Pietro è troppo sgrammaticata, soprattutto se collegata ai significati che il bambino esprime, concetti filosofici profondi narrati con figure retoriche che talvolta sembrano davvero poco spontanee. In secondo luogo non mi ha convinto la scansione della trama, troppo densa di scene ad effetto, di comparse eccessive nella bruttezza o nell'enigmaticità. Questo secondo tratto toglie scorrevolezza all'intreccio, rendendolo più un susseguirsi di eventi, che un filo narrativo vero e proprio. Inoltre restano irrisolti alcuni punti che il lettore memorizza e che, a libro chiuso, danno una sensazione di incompletezza.
Resta, in ogni caso, un libro da leggere, per capire i segni che le brutture della guerra, soprattutto quando è alla fine e gli odi si scatenano in violenze inutili e vendicative, lasciano sui bambini. Loro ci portano dentro la vicenda, e loro ce ne faranno uscire, con una chiusura degna di un'epigrafe.

martedì 23 luglio 2019

Francesca Manfredi, L'impero della polvere, La nave di Teseo


Valentina ha soltanto dodici anni, ma sente che nei suoi giorni qualcosa sta cambiando. L’estate torrida è in arrivo e porta con sé paura, dolore e forti sensazioni, che non sono di bambina, ma di donna sulla soglia della vita adulta.
Nella casa di campagna, antica, tre generazioni di donne convivono e tentano di equilibrarsi. La nonna, che rappresenta la sapienza popolare e contadina, è instancabile, dura come lo devono essere le donne sagge. Devota e religiosa, coinvolge la nipote nelle sue inconsapevoli superstizioni, senza volerla appassionare alla conduzione della fattoria.
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La mamma, di soli trent’anni, guarda avanti, verso un futuro in cui non c’è più il suo compagno, il padre di Valentina, ma soltanto figure femminili e potenti. Rimpiange a tratti la giovinezza perduta nel diventare madre a diciotto anni, e ricerca una speranza senza molta convinzione, trattenendo fino alle ultime pagine i suoi segreti dolorosi.
In questo dolore viene coinvolta la bambina, con il distacco e l’incoscienza di chi vede il proprio corpo cambiare, evolversi e assorbire tutta la sua attenzione.
Questo alternarsi di dolore e futuro possibile, di libertà e doveri familiari, si manifesta al lettore attraverso calamità eterne, scritte nel Libro secoli fa, e tramandate nella memoria di popoli fino ad oggi.
Prima arrivò il sangue. Così Valentina ci introduce nel suo mondo remoto. Il sangue sgorga da lei stessa, che ne cela il segreto a tutti, poi dalla crepa nel muro, con insistiti tentativi di cancellarlo, fino alla sua sparizione. Da quel giorno, nella casa si susseguono sciagure imprevedibili dalla mente del lettore, fin quando non ritrova la propria memoria atavica e riconosce, sebbene declinate ad una modernità non descritta né percepita, le dieci piaghe d’Egitto.
Le tre donne incolpano se stesse a turno, per la responsabilità di queste disgrazie, mantenendo una irrealtà narrativa che trasforma questa semplice vicenda familiare in una storia senza tempo, in una rappresentazione della femminilità e dell’amore talvolta spietato di una madre.
Francesca Manfredi ci fa ascoltare la voce immatura ma sensata di Valentina, portandoci in un mondo incantato dove i valori sono i pilastri dell’umanità.

mercoledì 19 giugno 2019

Montagne ribelli, Camanni e Oliva a Coazze. 14 giugno 2019


Può accadere così, che in un paese di montagna si radunino un centinaio di persone, una sera qualunque, semplicemente per ascoltare. Nessun video ad effetto, nessuna musica, solo parole, parole che raccontano la montagna.
Tutto nacque da un’idea di Alfio Usseglio, in collaborazione con la sezione CAI di Coazze, di cui è presidente. Appassionato da sempre di sport alpini, frequentatore di cime e valli in tutte le stagioni, la sua concezione di montagna è a tutto tondo: non solo turismo e attività fisica, ma cultura, lingua e storia. 
I nostri monti italiani, le Alpi in particolare, non sono solamente antiche tradizioni e racconti dei nostri vecchi, ma sono stati teatro di guerre e battaglie, sono rifugio per ribelli e rifugiati,  scenario di guerriglia e liberazione.  
Nella nostra piccola Val Sangone è nato lo sci alpino, quando, nel 1896, Adolfo Kind salì a Giaveno e da lì a Pra Fieul, da dove raggiunse il Cugno dell’Alpet, per scendere con i suoi ski in legno e far nascere così lo sci.
Sport e storia, sci e cultura non possono dunque che essere legati. Per cercare le radici di quei legami Alfio ha invitato due ospiti perfetti: Enrico Camanni e Gianni Oliva.
Carpegna, Camanni, Usseglio e Oliva
Camanni, scrittore, giornalista, alpinista, è autore di due testi che vengono presentati nel corso della serata e che spostano il punto di vista di chi osserva la montagna. Il fuoco e il gelo, saggio che raccoglie le testimonianze dei soldati in trincea durante la Prima Guerra Mondiale, quando i monti erano luoghi da conquistare, da abitare e scalare anche sotto le valanghe, o sui ghiacciai in inverno. Il secondo libro, Alpi ribelli, è una lunga carrellata sui personaggi storici, magari non sempre conosciuti, che hanno fatto dei monti un rifugio e un nascondiglio.
Ad Oliva, storico, saggista, docente e personaggio politico, spetta il compito di evidenziare, traendo dai suoi moltissimi saggi, l’idea di una montagna differente.
«Per riuscire a comprendere l’importanza dei monti nella storia, dobbiamo tornare indietro nel tempo».
Così nelle parole introduttive di Gianni Oliva si apre il racconto, e gli occhi degli spettatori non vedono più un tavolo su un palco, ma cime spoglie e valli splendenti di erba grassa, percorsi di animali, pastori, mercanti, movimenti di gente e di eserciti. Le valli si trasformano, i crinali non sono più i confini che rappresentano adesso, ma comunicazione e snodo.
I sentieri erano percorsi in continuazione in estate, come le vie più rapide per collegarsi con i paesi oltre le creste, e i crinali non dividevano, ma univano. Basti vedere la distribuzione dei dialetti, che valica le cime e si arresta a fondo valle.
«I popoli si mescolavano. I giovani andavano nelle valli vicine per cercare le ragazze e sposarle» spiega Enrico.
D’inverno tutto si fermava, in attesa, ma le slitte, le racchette, che noi ora chiamiamo ciaspole, i primi sci erano molto più agili dei carri.
Per due ore restiamo ad ascoltare, incantati dalle loro parole, da ciò che evocano. Le loro frasi dipingono immagini forti, memorabili. I primi sciatori sul fronte orientale, che scivolano sugli sci nelle loro tute bianche verso il nemico; la mitragliatrice che scarica il suo metallo, tingendo di rosso i corpi e la distesa di neve, in una carneficina. Le nostre baite che, dopo l’8 settembre 1943, vengono raggiunte da chi rifiutava il fascismo, e che era salito, magari, sul primo treno che portava in montagna per poi organizzarsi in bande partigiane. La prima vittima di Coazze, Evelina Ostorero, di soli sedici anni, uccisa perché non aveva risposto all’Alt, essendo sordomuta.
La storia va imparata, anche da questo. E se non è più possibile ascoltare le testimonianze dirette di chi l’ha vissuta e creata, va cercata nei libri di storia.
«Gli anni passano e il rischio di perdere le fonti è enorme. I ragazzi devono conoscere il Novecento, le due guerre, ma anche gli Anni di Piombo, i movimenti politici fino ai giorni nostri. Tutto ciò che viene prima, può essere sintetizzato, ma l’ultimo secolo va approfondito al massimo». Così Oliva, preside e insegnante, vede l’importanza dello studio scolastico.
«I nostri ragazzi spesso non conoscono i fatti e, purtroppo nemmeno la geografia. Come si può comprendere l’importanza degli eventi se non si sa collocarli?» commenta Camanni.
La serata, purtroppo, volge al termine. Il pubblico lentamente esce dal Palafeste, aspettando il prossimo incontro, che speriamo avvenga prestissimo.




martedì 4 giugno 2019

Perché scrivere la mia autobiografia?

Laboratorio di scrittura autobiografica

Quando ci porremo come obiettivo, a breve o lungo termine, quello di scrivere la nostra autobiografia, inevitabilmente sorgeranno delle domande, alle quali dovremo dare subito risposta. Non hanno un ordine di importanza, ma prima o poi spunteranno, siatene certi.
Cominciamo dalle domande, poi parleremo delle risposte, che non saranno mai verità assolute, ma sempre opinabili. Perché uno dei punti che dobbiamo tenere a mente, se vogliamo cominciare a scrivere, è che la scrittura narrativa non è una scienza.
Se io chiedo qual è il valore di x in una equazione matematica avrò solamente una risposta, magari multipla, e questa sarà la verità. Lo stesso accadrà per qualunque domanda scientifica, magari di chimica o biologia o astronomia.

In narrativa la verità non esiste, le risposte possono essere tutte diverse e tutte valide.
Ciò premesso, cominciamo a progettare la nostra autobiografia. Ci sediamo al tavolo del computer, oppure prendiamo in mano un nuovo quaderno, oppure ci incamminiamo a passeggiare in un bosco, e iniziamo a pensare.
Ed ecco la prima domanda.
Perché dovrei scrivere la storia della mia vita? Non mi sembra poi così interessante. 
Cancelliamo subito questa idea dalla nostra mente: tutte le vite sono interessanti e possono essere raccontate, dobbiamo solo capire il perché.

giovedì 30 maggio 2019

Cos'è la scrittura autobiografica - 1


Scrittura autobiografica significa letteralmente “scrivere della propria vita”, ovvero raccontare una storia che ha come protagonisti noi stessi.
Se scrivere un racconto o un romanzo vuol dire creare una vicenda inventata, l’autobiografia richiede invece di analizzare la propria vita come se fosse un romanzo. È un viaggio nel nostro passato, nei nostri ricordi, nel nostro vissuto, ma con occhi nuovi, occhi di scrittore.
Questo è un enorme vantaggio: usare la memoria per raccontarci, ma con parole che avvincano anche chi forse leggerà la nostra storia. La ricerca delle parole, delle frasi, dello stile più adatto a narrare episodi accaduti realmente è ciò che rende meravigliosa l’autobiografia. Rivivere momenti emozionanti, o terribili, o riesaminare ciò che ci era parso banale e inutile con uno sguardo limpido, da osservatore nuovo, significa prendere le distanze e ripensare alla storia della nostra personalità, del nostro carattere come se fossimo veramente il personaggio di un romanzo.
Anche chi abbiamo incontrato nel nostro cammino, la nostra famiglia, gli amici, gli affetti più profondi, diventerà soggetto narrativo. La trasformazione di queste emozioni in parole costituisce un filtro che ci permetterà di provare una meraviglia nuova, sconosciuta verso ciò che abbiamo provato e magari ribalterà situazioni, trasformando i problemi vissuti in occasioni, che solamente creando il “film” della nostra vita potremo provare come registi.


Per informazioni sul laboratorio:
Per iscrizioni:
mariateresa.carpegna@gmail.com

lunedì 27 maggio 2019

Marco Neirotti, Ti ammazzerò stasera, Golem edizioni


In una cittadina di provincia vengono accolti dei rifugiati. Liberi di uscire dal centro, una ex caserma, imparano l’italiano, l’integrazione e un mestiere, tentando di dimenticare le lame e le bombe. Finché una notte qualcuno lancia delle molotov e, per la loro sicurezza, i profughi vengono rinchiusi. La Polveriera da rifugio si trasforma in prigione.
Gli equilibri si sgretolano e il centro, dal nome emblematico, si trasforma in un ordigno ad orologeria. Il clima, dentro e fuori, si surriscalda e un paese tranquillo vede i suoi abitanti, pacifici e accoglienti, trasformarsi in razzisti colmi d’ira, guidati dalle farneticazioni di qualche esaltato.
Al centro di questo vortice in ebollizione c’è un ex galeotto, che vive in una baracca con cani abbandonati, suoi compagni di vita. Lui è l’obiettivo, insieme agli stranieri, di tre personaggi inquietanti e, ahimè, credibili. Il primo è il capo, un giovane che coinvolge nella sua follia due gregari, frustrati e pronti alla violenza.
Il paese assiste parteggiando inconsapevole; i genitori non vedono, o tentano di non vedere.  Attorno e sopra di loro i carabinieri, comprensivi ma vigili, provano ad arginare qualcosa che forse è troppo grande.
Marco Neirotti disegna con Ti ammazzerò stasera un’Italia orribilmente attuale, con leader che gridano ai microfoni riecheggiando frasi ascoltate dai lamentosi da bar, soffiando su una fiammella per farla diventare rogo purificatore.
Il giovane sindaco aveva risposto all’arrivo dei quaranta richiedenti asilo con apprensione, ma senza isterismi. Il prefetto venne ad illustrare alla cittadinanza tempi e regole dell’emergenza. Ma su tutto soffiava il nuovo giro di elezioni. […] I pochi diventavano tanti: borbottii presto bestemmia, sui social frasi impensabili da quella gente, titoli dei tg improbabili specchi della realtà di casa. 
«Ho scritto questo libro otto mesi fa» spiega Neirotti ai microfoni del Salone del Libro, «e purtroppo si è rivelato premonitore».
Bruno Quaranta e Marco Neirotti
Un romanzo che non è un noir, sebbene la tensione cresca dalla prima all’ultima pagina, ma uno spaccato della vita di una qualunque cittadina.
«Questo grido di allarme riguarda un problema nato in provincia» sottolinea Bruno Quaranta nel corso dell’intervista. «A differenza della grande città, la provincia ha difese diverse, altre priorità».
«Verissimo» conferma Neirotti, «sono ambienti diversi, ma i social abbattono i confini tra città e provincia. Per questo non mi stanco di ripetere che dobbiamo avere idee nostre, non rinunciare alla curiosità, non rinunciare ad imparare. Come giornalista, ho fatto reportage in ambienti difficili. Sono stato barbone, carcerato, ho incontrato persone che mi hanno insegnato tanto e ho scritto di loro».
A noi non resta che leggere il suo romanzo e imparare.

martedì 21 maggio 2019

Laboratorio di scrittura autobiografica, 8 giugno 2019

Sabato 8 giugno
dalle ore 9,30 alle 12,30
a Coazze

Laboratorio di scrittura autobiografica

Scrivere di sé è una forma di narrazione affascinante, che richiede, oltre alle capacità di scrittura, anche quelle di analisi del proprio vissuto, con occhi distaccati e nuovi. 
Dedicare tempo e impegno all'autobiografia è un'attività stimolante, ma complessa; coinvolge totalmente chi scrive fin dalla prima parola e trasforma l'autore in personaggio, donandogli la possibilità di vivere infinite volte.


In questo laboratorio

- affronteremo le modalità che l'autobiografia richiede,
- leggeremo brani di scrittori che hanno deciso di ritrarre loro stessi e di raccontare la propria storia,
- proveremo ad organizzare un progetto a lungo termine per realizzare una vera opera autobiografica.




Ecco i punti che analizzeremo insieme: 
- Osservare noi stessi è come specchiarsi in un lago increspato: nuove sfaccettature ci appaiono ad ogni istante
- Descrivere noi stessi significa creare un personaggio complesso, con un passato conosciuto, ma ancora da interpretare e svelare. Ogni descrizione di noi sarà diversa e ci condurrà verso nuovi noi stessi.
- Rivivere il proprio passato, le sconfitte, gli errori, le vittorie e le gioie significa vivere una libertà totale, significa creare nuove emozioni e vederle con occhi diversi
- Analizzare la nostra storia con lo sguardo narrativo ci permetterà di comprendere che ogni vita è degna di essere raccontata, che non esistono vicende banali, ma solo scritture banali.
- Incontreremo ancora vecchi amici, conoscenti ormai dimenticati e li vedremo come personaggi da far agire, da far recitare su un palcoscenico organizzato da noi.

Costo del laboratorio: 30,00 euro
Il laboratorio si terrà a Coazze.
Per informazioni: mariateresa.carpegna@gmail.com

mercoledì 8 maggio 2019

Aliberti Gerbotto, Lovera, Cammina davanti all'ombra, Edizioni del Capricorno

In libreria dal 31 maggio
Ci sono storie che restano per anni chiuse nei cassetti della memoria, inaccessibili, nascoste. Sono storie che vengono sigillate nell’inconscio per difenderci dal dolore. La storia di Gianni Lovera è una di queste; dolorosa al limite della sopportazione, è rimasta sepolta per anni sotto sconfitte, amarezze e delusioni. Finché il suo vecchio amico Gian Maria Aliberti Gerbotto ha intuito l’importanza di questa vicenda e l’ha portata alla luce.
Gianni è solo un ragazzo quando se ne va di casa per la prima volta, lasciando la famiglia e la sicurezza di una vita agiata, insofferente alla severità di sua madre e alle troppe assenze di suo padre. Sono i suoi genitori adottivi e lui lo sa, è stato informato fin da subito, con amore e tenerezza. L’adolescenza, però, è l’età della ribellione e Gianni non riesce  vedere l’amore nei gesti severi e autoritari dei suoi genitori, soltanto il controllo. Per questo fugge, si rifugia in un modo di barboni, di sbandati, per cercare libertà e indipendenza.
Quello che non sa è che questa fuga sarà solamente uno degli innumerevoli inizi, una delle infinite prove e delusioni che la vita gli riserverà. Il suo percorso per conquistare la serenità sarà disseminato di ostacoli, sempre più duri e insidiosi, che lo intimeranno ad arrendersi.
Saranno una trasmissione televisiva e un personaggio tanto conosciuto quanto sensibile a condurlo verso la verità del passato, perché possa finalmente costruirsi un futuro.
Una biografia scritta a quattro mani che si legge come un romanzo.

giovedì 2 maggio 2019

Massimo Tallone, Non mi toccare, Edizioni del Capricorno


Per la sua nuova creatura letteraria, Massimo Tallone punta in alto e crea un romanzo ricco e complesso, utilizzando al meglio le sue ben allenate capacità narrative.
Il libro prende avvio, come nei migliori classici, da una testimonianza, che l’autore stesso si incarica di divulgare. La vicenda viene affidata a Tallone dall’unica superstite di una strage, che, rifugiatasi in una casa isolata, affacciata su una scogliera delle isole Fær Øer, gli rivela i tratti di una storia appassionante quanto incredibile.
Susanna è la testimone, una traduttrice brillante e affascinante, affetta da aptofobia, ovvero la paura del contatto fisico. Qualunque tocco, anche il più lieve, la terrorizza, facendola cadere nel panico. Susanna, uscita dall’ufficio di via Catania, a Torino, per un improvviso mal di testa, trova al suo ritorno i cadaveri insanguinati dei due colleghi. Inizia così la ricerca dei responsabili, in una caccia al tesoro che trascina il lettore, obbligandolo, ad ogni parvenza di soluzione, a rivedere tutto da capo, sotto una nuova, inquietante luce.
Per condurre chi legge in questo magico labirinto, Tallone sfodera la sua maestria di affabulatore, di narratore sempre nuovo.
I personaggi, suo cavallo di battaglia da sempre, sfidano qui ogni fantasia, mostrando caratteri e peculiarità fantasmagoriche, restando tuttavia credibili e realistici. La carrellata ha inizio a partire dall’evanescente Susanna, figura senza peso e volume, quasi un’ombra; sfiorando la sorella Ornella, concreta e positiva, eppure attratta patologicamente dagli oroscopi; proseguendo con le due vittime, la solare Linda, legata all’indecifrabile Oscar, e l’infedele Ivan, che spiazza tutti col suo humor nero. E poi Duilio, viziatissimo rampollo di farmacisti, pronto ad accorrere in caso di bisogno, e Bartolomeo Fornetti, ex collega vittima di scherzi crudeli, e via così, fino a Tano e Piero, e alle loro banalissime eppure sordide storie personali.
In questa scoppiettante giostra di misteri, indizi, inseguimenti e colpi di scena, riusciamo comunque a restare abbagliati, a frenare la curiosità e fermarci per gustare le meravigliose descrizioni degli ambienti, ad assaporare gli stati d’animo della protagonista e del narratore, che altri non è che il nostro ammaliatore Massimo Tallone.

martedì 23 aprile 2019

La focalizzazione variabile

La focalizzazione è, in narrativa, il punto di vista attraverso il quale viene raccontata la vicenda; in pratica gli occhi che permettono al lettore di vedere ciò che accade, le orecchie attraverso cui può sentire ciò che viene detto.
Può trattarsi di un punto di vista esterno ai fatti, in cui il narratore racconta senza partecipare agli eventi stessi, ma semplicemente riferendoli in terza persona, come un testimone invisibile. Si tratta di una tecnica che coinvolge nella lettura, perché chi legge può osservare ogni scena da molto vicino.
In certi casi il narratore sa tutto ciò che accade, ma proprio tutto; in qualunque luogo e in qualunque momento segue i personaggi e assiste a quel che fanno o subiscono. Si dice allora che si tratta di un narratore esterno onnisciente. Un ficcanaso totale!
Più spesso la narrazione è affidata a qualcuno che della vicenda fa parte, allora la focalizzazione sarà interna, su uno dei personaggi. Può trattarsi del protagonista stesso, che ci racconta quello che gli è accaduto, oppure di un coprotagonista o di un testimone. In questo caso il narratore potrà riferire soltanto ciò di cui è venuto a conoscenza e sarà un errore grave esprimere ciò che pensano gli altri personaggi, se non lo dicono o dimostrano con gesti ed espressioni del viso.
Ma ci sono casi più complessi, che danno grandi vantaggi nella lettura e grosse difficoltà nella scrittura. Uno di questi è la focalizzazione variabile, in cui il punto di vista che "vede" la vicenda non è quello di un solo personaggio, ma balzella da uno all'altro.
Un esempio formidabile di questa tecnica si trova nel romanzo di Robert Galbraith (alias J.K. Rowling) Il richiamo del cuculo. Per capirci, ecco qualche riga:

Robin, quando rientrò in ufficio, pensò che l'atmosfera fosse un po' tesa. Strike era seduto davanti al computer, pestando sulla tastiera. 
«Ah» fece lui. 
Sul sito web del famoso stilista aveva trovato la pelliccia che cercava. Era in vendita da appena due settimane e costava millecinquecento sterline.
Robin attese che spiegasse il motivo di quella esclamazione.

Visto? Nella prima frase siamo "nella testa" di Robin, mentre nella seguente in quella di Strike e in quella dopo ancora rimbalziamo di nuovo in quella della ragazza.
Niente male, vero?
Nella pratica, questo esercizio è piuttosto complicato e nemmeno del tutto regolare. Dunque ve lo sconsiglio, dato che si rischia di confondere il lettore. Vi consiglio invece, e molto caldamente, la lettura di questo romanzo, i cui insegnamenti tecnici sono davvero da manuale.

domenica 31 marzo 2019

Due settimane per raccontare


Un incontro casuale al parco

di Elena Mignola

Roberta aveva un’oretta per camminare un po’ prima di entrare in ufficio. La primavera stava scoppiando, allora decise di fare un giretto al parco comunale. Era un po’ stanca, le girava leggermente la testa, e pensò al cambio di stagione.
Si sedette su una panchina di legno verde piena di scritte; davanti a lei un enorme albero dalla chioma tondeggiante mostrava i suoi fiori rosa e lei lo ammirava chiedendosi che tipo di albero fosse.
Ad un certo punto le si avvicinò un signore anziano, ben vestito, con un bastone in mano e si sedette al suo fianco. La osservava cercando di non farsi troppo notare, poi le sorrise e iniziò con il dirle che quel pomeriggio faceva un gran caldo per la stagione. A Roberta fece un po’ tenerezza, immaginava la solitudine di quel uomo. Poi, come se lui avesse intuito i suoi pensieri, o almeno fu quello che lei pensò, le raccontò di essere vedovo da anni, ma di essersela sempre cavata da solo con un certo orgoglio. 
Le fece capire svelandole il lavoro che aveva svolto di essere abbiente e che gli sarebbe rimasto poco da vivere. Iniziò a farle dei complimenti.  
Roberta si sentì in imbarazzo, lo salutò velocemente dicendo che doveva andare di corsa al lavoro.  

mercoledì 27 marzo 2019

Due settimane per raccontare

Un incontro casuale al parco
di Camilla Versino

Veronica guardava il laghetto davanti a lei senza interesse. La borsetta poggiata al suo fianco sulla panchina verniciata di verde, il golfino lasciato mollemente sullo schienale e le sue mani intrecciate in grembo aggiungevano alla sua espressione malinconica un tocco trasandato. Quando lui le si sedette al fianco, lei trasalì. Le era andato vicino, ma non l’aveva degnata di uno sguardo, come se il suo obbiettivo fosse solo di sedersi e riposarsi.
Veronica ne fu sorpresa perché in realtà si conoscevano molto bene e quasi indispettita per non aver ricevuto neppure un minimo saluto, continuò a guardare davanti a sé attendendo l’evolversi delle cose.
L’uomo si beava della frescura della giornata, aveva lo sguardo immerso nei pensieri e Veronica provò ad immaginarli.
“Sicuramente starà pensando alle montagne, alle gite con le figlie e le nipoti… Ha un viso disteso e sereno, non è concentrato sui suoi affanni ed è bello vederlo così, una volta tanto”.
Stettero così per tre ore buone, l’uno a sorridere e l’altra ad immaginare, finché a un certo punto l’uomo si alzò, si girò verso Veronica e la salutò cordialmente.
Lei lo guardò con tenerezza.
«Papà, ti riporto a casa, è tardi!»

lunedì 25 marzo 2019

Due settimane per raccontare

Un gioiello di famiglia
di Carmen Bassetti 

Quella mattina il caldo era già insopportabile fin dalle prime ore. Per fortuna la casa della nonna aveva muri spessi quasi un metro e le stanze del pianterreno erano fresche e profumate di erbe, stese ad essiccare vicino alle finestre a nord.
Ma perché proprio a nord? Mi chiesi. Ho sempre visto le erbe messe all’ombra ma non certo a nord! Mamma diceva sempre che a nord è la parte più fredda anche di notte, quindi, perché nonna le ha messe proprio lì? Ci sarà certamente un motivo: lo scoprirò presto.
Intanto vagavo da sola in casa, erano tutti ai campi per la mietitura ed io, troppo piccola, non potevo parteciparvi. “Troppo pericoloso!” Tuonava il nonno. “Non voglio che Linda si faccia male! Meglio che stia a casa. D’altro canto è già abbastanza grande per badare a se stessa”.
E così ero sola, che bello! Potevo curiosare dappertutto, soprattutto dove la nonna non voleva che io ficcassi il naso. Sì, perché quando la mattina presto scendevo ancora assonnata, lei era già lì, in cucina, da tempo intenta a preparare le formaggette col latte che il nonno aveva appena poco prima munto.
La cucina era piccola, accogliente, sempre la stufa accesa, anche in piena estate. Già, la nonna ci cuoceva di tutto, dalla minestra con i sapori dell’orto al coniglio che il giorno prima aveva finito il suo “soggiorno in fattoria”.
L’idea di frugare nei cassetti del vecchio buffet mi venne d’impulso, certo non avrei mai pensato di poter scovare un vero tesoro.
Ma andiamo per ordine. Il buffet da sempre mi attirava, con i suoi “cimeli”, i ricordi e le stoviglie di un lontano passato, così, non vista, azzardai una mossa. Aprire il cassetto chiuso a chiave! Già, ma dov’era la chiave? Le pensai tutte poi… dall’uscio spuntò una gallina che col suo coccodé, coccodéee mi distrasse non poco.
Cosa ci fai qui? Le chiesi. Ma lei se ne andava gironzolando per la cucina con indifferenza. Almeno così mi sembrò, perché la gallina (chi è che sostiene non siano intelligenti? Tutti gli animali sono molto intelligenti) piano piano si avvicinò ad una mensola, con un balzo salì e si mise a beccare.
La chiave!  Esultai. Aprii il cassetto di furia (da un momento all’altro poteva arrivare la nonna) e con sorpresa trovai un quaderno. Un solo quaderno, molto vecchio, copertina nera. Lo sfogliai con la fretta di quello che si sente braccato e…
Era un diario. Il diario della nonna!
Segreti? Chissà.

lunedì 11 marzo 2019

Pandiani e De Filippis

Imparare a scrivere racconti e romanzi si può? Sì, assolutamente, ma ci vuole impegno e costanza.
Uno dei passi più importanti da compiere, per sapersi destreggiare con la narrazione, è leggere. Leggere di tutto, dai racconti brevi ai tomi di mille e più pagine, serve a carpire i segreti della scrittura agli autori.
Imparare dai migliori è garanzia di ottimi risultati nel percorso per diventare scrittori.
Quando poi si ha la fortuna di poter incontrare questi autori, magari dopo aver assaporato le loro pagine, e aver conosciuto i loro personaggi, ecco che i risultati positivi aumentano in modo esponenziale.
È quanto mi è accaduto sabato sera, alla libreria di Antonella e Cristina di Rivoli. Due grandi del noir italiano, Enrico Pandiani e Carlo F. De Filippis, si sono incontrati per presentare l'ultimo romanzo di Enrico: Ragione da vendere.
La serata è partita subito con un botta e risposta fulminante sulle loro fatiche letterarie, essendo entrambi autori di diversi romanzi. Poi, scambiandosi frecciatine e battute esilaranti, sono passati ad esaminare la serie di cui Ragione da vendere fa parte, ovvero i gialli parigini con protagonisti Les Italiens, il gruppo di poliziotti di origine italiana, trasferiti, in questa ultima puntata, dal Quai des Orfevres alla nuova sede di Battignoles.
Ma non si può parlare a lungo di un poliziesco, se non a rischio di anticipare parti fondamentali del plot, e il duo è scivolato morbidamente a parlare di letture. Naturalmente altri giallisti, autori di noir celeberrimi: Chandler, Scerbanenco, Manchette i primi di un lungo elenco.
«Però io preferisco leggere letteratura "altra"» ha detto Pandiani sorprendendoci. «Mi piacciono sempre i gialli, naturalmente, ma se si vuole continuare a progredire nella scrittura, a crescere, bisogna leggere i migliori. Da quando scrivo regolarmente, ovvero da quando ho pubblicato il mio primo romanzo dieci anni fa, leggo in modo molto diverso, con una attenzione al particolare, alla struttura che prima non avevo».
Comprendere le tecniche narrative dei grandi autori, percepire le modalità stilistiche dei nuovi scrittori, gustare la sorpresa che una semplice frase può far scaturire è il primo passo per provare anche noi, semplicemente con le parole e le frasi, a creare altre emozioni.
Adesso anche noi leggeremo sicuramente in modo diverso.



mercoledì 27 febbraio 2019

Corso laboratorio: scrivere un racconto


Laboratorio di scrittura narrativa in due lezioni
Due settimane

per raccontare

· Pianificare un tema
· Creare trama e personaggi
· Il dono della sintesi
· Imparare dai migliori
· L’importanza dei dettagli
· Dialoghi scoppiettanti

Giovedì 21 marzo e giovedì 28 marzo
dalle ore 18 alle ore 20
a Coazze
(La sede del corso sarà stabilita in base al numero di partecipanti)

Giovedì 21: lezione teorica ed esercitazioni
A casa:        stesura di base di un racconto breve
Giovedì 28: lezione teorica e rielaborazione dei punti deboli
A casa:        Scrittura definitiva

Costo: 60 euro
per informazioni:
mariateresa.carpegna@gmail.com
cell: 338 3938543