lunedì 23 agosto 2021

J.K.Rowling, Harry Potter e il calice di fuoco, Salani

I romanzi di Harry Potter sono un mondo in cui, almeno una volta all'anno, voglio rientrare. Non per la trama, che ormai conosco a memoria, ma per i mille particolari che ogni volta scopro; per le sottotrame, che nei film vengono spesso ignorate, per le ambientazioni sorprendenti, per le parole che la Rowling sa usare. 
Avevo letto il quarto episodio appena uscito, subito dopo la festa che facemmo nella nostra libreria, nei giorni calmi della prima metà del gennaio 2001. Lo avevo divorato, provando emozioni contrastanti soprattutto per il protagonista, orgoglioso e testardo.
L'avevo riletto, poi, nei giorni precedenti l'uscita del film; ad alta voce, ai miei figli ancora molto piccoli. Lo avevamo gustato fino in fondo e le nostre attese erano state soddisfatte dalla pellicola. 

Adesso, dopo aver rivisto il fim almeno una decina di volte, avevo voglia di tornare nello stadio di Quidditch per la coppa, nella tenda straordinaria dei Weasley, volevo incontrare Malocchio Moody, il povero Cedric Diggory, Fleur Delacour e Madame Maxime. E così ho scoperto che il film toglie davvero troppo alla trama, e cambia alcuni punti importanti. 
Non che questo sia un vero e proprio difetto, è quasi una necessità. Ma la rilettura mi ha dato emozioni nuove e credo sia quello che ci si deve aspettare dalla letteratura. 
Forse la Rowling non entrerà nei manuali universitari, ma di certo è già nelle antologie delle scuole medie e superiori. A pieno merito.

sabato 14 agosto 2021

Lars Mytting, Sedici alberi, DeAPlaneta

Siamo in Norvegia, in una fattoria isolata in mezzo ai boschi. Edvard vive coi nonni paterni, abituati ai silenzi e a rispettarli. È cresciuto con loro dopo l'incidente che ha ucciso i suoi genitori,ma solo ora ha scoperto l'esistenza, nel mezzo della foresta, di un bosco di betulle, unico e magico. Sono betulle contorte, con un legno striato, dai colori e dalla struttura così belli da risultare incredibili. Sono state costrette a crescere così, da anelli di ferro che costringevano le cellule vegetali a riparare le loro ferite.
Edvard ne è affascinato e vorrebbe saperne di più, così come del suo passato, di cui però non osa domandare. Come sono morti i suoi genitori? E perché erano sulla Somme quando lui aveva appena tre anni?

Il nonno, unico custode di quei segreti, muore all'improvviso, e Edvard scopre che la sua bara è già lì pronta ad aspettarlo, una bara magnifica. Decide di partire, di seguire le tracce evanescenti del  suo passato, che lo porteranno fino alle isole Shetland e ad una strana ragazza.

Sedici alberi è un romanzo da leggere contrastando l'impulso a divorare le pagine per assaporarne ogni singola frase. In ogni pagina di Lars Mytting si cela un legame tra storia e legno, tra parole e ricordi.

I foglietti che spuntavano dall'Atlante e dall'enciclopedia erano così numerosi da dare l'impressione che dalle pagine di quei volumi ne fossero germogliate di nuove.

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lunedì 12 luglio 2021

Alice Basso, Il morso della vipera, Garzanti

Siamo in estate, a Torino, il sole caldo è piacevole, come anche l’ombra fresca dei portici di Piazza Statuto. Anita, camice addosso, è dietro il bancone della tabaccheria dei suoi genitori; è consapevole della propria bellezza, meno della propria intelligenza, d’altro canto, cosa serve a una bella donna? Un matrimonio e tanti figli, magari con un biondone statuario e sempre allegro, che in più l’adora.
Con lei c’è la perenne Clara, amica da sempre, lei sì consapevole della propria brillantezza di meningi, anche perché il suo fascino è un po’ meno appariscente, diciamo. Insieme fanno una coppia bislacca, perfettamente funzionante, sebbene abbiano progetti ben diversi.
Eppure, giunta al momento del fatidico sì, Anita tentenna e chiede una proroga al bel vichingo: sei mesi per lavorare e diventare una madre ancora migliore. Seppur sbalordito, il ragazzo accetta e Anita entra a far parte delle edizioni Monné, ovvero Monnet, ma con un nome più adatto al periodo. Già, perché siamo nel 1935, il fascismo è nel momento di massimo splendore e i torinesi, pur con il loro à plomb (appiombo?) devono adeguarsi e italianizzare tutto, per compiacere Monsù Cerutti.
Ma allora come mai la rivista Saturnalia può permettersi di pubblicare autori americani? E per di più hard boiled? E cosa potrebbe accadere se qualcuno osasse parlare di un delitto compiuto da un eroe di guerra?
Con il solito piglio energico, Alice Basso ci farà scoprire il mondo nascosto della cultura italiana del ventennio, inserendo tra una battuta e una scena da brivido la Storia che dovremmo tutti conoscere.

 


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I mezzi guanti di Anita

 

sabato 12 giugno 2021

Enrico Camanni, La discesa infinita, Mondadori

La fine di ottobre, per una guida alpina, è una stagione ferma. Le nuvole spazzano le cime e i pendii, scaricando acqua e freddo, ma la neve è ancora poca e le rocce sono fradicie. Nanni Settembrini sale sul ghiacciaio del Miage a cercare cristalli di quarzo, non per prenderli, solo per ammirarli: a lui la montagna piace come compagna, non come preda.
Il ghiacciaio si sta riducendo, come tutti nel mondo, e riporta in superficie strati della sua storia, della nostra storia di uomini. Nanni vede affiorare, tra i detriti, qualcosa di azzurro: è un maglione, fatto alla maniera antica. Scava, sapendo già cosa lo aspetta e, quando vede una corda di canapa e uno scarpone di cuoio con dentro l’osso della gamba, non ha che una conferma. Il corpo speciale della Guardia di Finanza procede nelle indagini, per dare un nome a quelle ossa, o almeno per capire da quanto tempo il ghiacciaio le teneva in serbo.
Settembrini non si accontenta e vuole dare un passato a quelle spoglie, vuole trovare chi le ha amate in vita e le potrebbe piangere adesso. Il percorso è difficile, senza dati a cui appigliarsi, e l’unico consulente in questi casi è Olivier Gorret, l’ex suocero, il montanaro silenzioso e acuto. Nonostante il divorzio dalla figlia, nonostante le difficoltà che la nostra guida alpina ha sempre avuto con la sua famiglia, con Olivier invece ha un affinità unica, che rende le loro chiacchiere e i loro silenzi ricchi di significati. È un confronto alla pari, denso di discussioni che insegnano, specialmente al più giovane.
Ma se la montagna non attira i turisti, non vuol dire che per il Soccorso Alpino non ci sia del lavoro. Nanni, responsabile della Stazione di Courmayeur, deve abbandonare le sue elucubrazioni per una ricerca: una donna si è allontanata verso il bosco, con uno zaino in spalla, dopo un litigio col marito.
Sarà davvero così? Da quel momento tutti sembrano averla notata, in luoghi diversi, con abiti e zaini differenti. Le testimonianze sono sempre confuse, nei casi di sparizione, e Nanni lo sa. Le ricerche hanno inizio, ma la pioggia rallenta l’elicottero e cancella ogni traccia odorosa. Ben presto ci si dovrà arrendere.
 
Il romanzo procede seguendo linee narrative che affascinano il lettore, mostrandogli una trama intrecciata e ricca, lusingandolo con panorami meravigliosi ed emozioni profonde.
Zigzagando tra larici e stambecchi, sulla neve gessosa e il profumo di legna bruciata, tra libri e amori lontani, Camanni porta il lettore sulle sue adorate pendici, ma anche sulle rive del grande Po, raccontando la storia della montagna e di un Italia passata, fatta di onore e di sacrificio, ma anche di vergogna.
 

domenica 25 aprile 2021

25 aprile 2020

Gli piaceva quel piccolo alloggio, gli era piaciuto fin dai primi giorni di quasi sessant’anni prima. Questo pensava il signor Ferrero, seduto sul balconcino del soggiorno, al primo piano di quel vecchio palazzo.
Non era così per i suoi vicini, per cui tutto era “troppo”. Il soffitto troppo basso, i muri troppo spessi, i locali troppo piccoli e freddi e gli infissi troppo sottili. Ma loro erano giovani e si sarebbero affezionati col tempo.
Anche la famiglia del piano di sopra, all’inizio, non era soddisfatta. Se li ricordava bene, alle riunioni di condominio, sempre a lamentarsi, a discutere per il colore delle imposte, per l’ubicazione dei bidoni dell’immondizia. Gli era piaciuta la parola “ubicazione”, che dava un tono anche a quei litigi così sciocchi. Comunque lui andava a tutte le riunioni, e si divertiva un mondo. Guardava le facce, che di solito erano sorridenti, quando lo incrociavano sul pianerottolo, ma che in quelle occasioni diventavano scure e torve, o annoiate e infastidite. Però le discussioni finivano lì, senza strascichi, e il condominio tornava tranquillo.
Adesso non c’erano più state riunioni, e nemmeno incontri sul pianerottolo. Tutti stavano in casa, oppure sul balcone.
Guardò giù, oltre la ringhiera di ferro, verso la piazzetta laterale del paese, e poi su, lungo la stretta salita in pavé del centro storico. Non c’era nessuno, in strada, nemmeno i due vigili che controllavano chi portava a spasso il cane. Tutto vuoto, soltanto la musica usciva dalle finestre. Il sole era già caldo, in quella metà di aprile, ma i fiori non erano ancora arrivati nei vasi sui davanzali.
Sul balcone di fronte comparve la figura snella della signorina della panetteria. Sorrideva come sempre, e lo salutò come sempre, sforzando un po’ la voce per farsi sentire anche dalle sue orecchie deboli.
«Buongiorno signor Beppe, sto per andare a far la spesa. Ha bisogno di qualcosa?»
Lui ricambiò il sorriso e le chiese due cosette per la cena e il pranzo del giorno dopo. Per il resto era a posto: patate e cipolle ne aveva, pasta, fagioli in scatola, uova… sarebbero bastati per una settimana.
Viveva da solo, il signor Ferrero, da quando era morta sua moglie. I suoi figli erano ormai vecchi anche loro, e i nipoti erano quasi tutti lontani. Li sentiva al telefono tutti i giorni, i figli. Tra loro parlavano al computer, o su quei telefoni che sembravano dei televisori minuscoli. Il più giovane era andato a studiare a Berlino, addirittura. Quando glielo aveva detto sua nuora, le mani avevano cominciato a tremargli, e l’aveva guardata a bocca aperta.
«Stai tranquillo, papà» aveva detto lei gentile, «non è più come prima dell’89».
Il signor Beppe aveva stretto gli occhi. E cosa c’entrava l’89? Poi ricordò. Il muro, la Germania Est, la Russia comunista. Ah, baggianate!
Lui pensava al ’43, all’8 settembre del 1943.
Berlino era un posto strano, e i tedeschi, per lui, erano dei soldati, non gente normale. Camminavano impettiti, nelle loro perfette uniformi, anche sotto il sole rovente di Cefalonia. Li trattavano con educazione, ma senza rispetto, come dei servitori che possono sempre tornare utili.
Fino all’8 settembre. Allora gli italiani si erano trasformati in nemici, e in bersagli. Lui aveva visto i suoi compagni cadere sotto i colpi di quelli che sembravano alleati, era stato caricato su una nave, con un braccio rotto e lo stomaco squassato dai calci, e gettato a terra nella stiva. Vomitando sangue, aveva sentito i boati attorno a lui, e soltanto anni dopo aveva scoperto che erano le altre navi che esplodevano sulle mine e colavano a picco. Pensava di morire, ma non fu così.
Con le labbra spaccate dal sale e dalla sete, con gli occhi gonfi per i colpi e il dolore, era arrivato in fin di vita al campo di prigionia, in Polonia. Non ricordava nemmeno più quanto tempo era rimasto là, ma soltanto la gioia di quando i russi erano arrivati a liberarli.
Il signor Beppe scosse la testa. Non voleva pensare a quei giorni, ma era quasi impossibile non farlo. Alla Tv la gente si lamentava della “prigionia”, di quel che stava facendo il governo. Diceva che costringerli a casa era una “dittatura”, un “tradimento”, una “schiavitù”.
Il signor Ferrero fece una risatina, e due lacrime gli scivolarono sulle palpebre. Come cambia il significato di certe parole, pensò. Lui sì che aveva conosciuto un vero dittatore, uno che si metteva le mani sui fianchi e urlava da un balcone come il suo, parlando di conquiste e di potere invece che di morti e miseria. Lui sì che conosceva il vero tradimento, la vera prigionia.
Fece un respiro profondo e si aggrappò alla ringhiera per alzarsi. Sotto di lui la strada lastricata aspettava che piedi intorpiditi tornassero a calpestarla, che gambe ferme da troppo tempo si riprendessero quello spazio.
Tra poco sarebbe arrivato il 25 aprile, il numero settantacinque, forse l’ultimo per lui. E anche questa volta avrebbe ringraziato tutti quelli che avevano lottato, che si erano sacrificati per riportare l’Italia alla libertà.
Il campanello squillò due volte e lui vide, sotto il balconcino, il sorriso della panettiera, che gli stava portando la spesa.
Ah, come si stava bene in quell’Italia libera!

lunedì 12 aprile 2021

Nick Hornby, Proprio come te, Guanda

Ho scoperto Nick Hornby parecchi anni fa, quand'era imminente l'uscita del film tratto da Un ragazzo al cinema. Prima di andare a vederlo volevo leggere il romanzo, come faccio ogni volta per non rovinarmi le sorprese della trama. 
Da quel titolo in poi, ho sempre cercato di non restare indietro sui suoi scritti, e tutti quelli che sono riuscita a leggere mi hanno catturata. Come ha fatto anche questo suo ultimo libro, Proprio come te, uscito nel mese di settembre. 
Cos'ha di così magnetico la scrittura di Hornby? Come può, raccontando storie appena al di sopra della banalità quotidiana, affascinare e coinvolgere il lettore? 

Partiamo dalla storia.
Lucy è una signora separata di quarantadue anni, con due figli quasi adolescenti e un ex marito alcolizzato. È un'insegnante di Lettere alle superiori, con una cultura eclettica e ampia. Joseph è il commesso della macelleria dove si serve Lucy; ha ventitude anni, allena una squadra di ragazzini nel tempo libero e sogna di diventare famoso come dj. Una sera Joseph fa il babysitter per i figli di Lucy e i due cominciano a sentire attrazione reciproca, iniziando una relazione. 
Insomma, una trama piuttosto prevedibile, perfetta per romanzi di diverso genere, dal rosa, all'erotico, allo psicologico; una vicenda che ha appena un tocco di originalità nella enorme differenza di età tra i due. 
Eppure non è così. Hornby crea un romanzo a più strati, compenetrandoli in modo così perfetto da renderli invisibili a una lettura superficiale (che resta comunque divertente). Innanzitutto Joseph è nero, e il razzismo è strisciante, non tanto negli atteggiamenti o nelle parole degli altri, quanto nelle loro reciproche paure. Così entrambi fanno un'estrema attenzione a non sottolineare le differenze etniche e i pregiudizi, con il solo risultato di accentuarli e renderli, talvolta, insopportabili. 
Inoltre Lucy è benestante e abita in un quartiere ricco della città, mentre lui vive ancora con la madre in una casa popolare. Le differenze di ceto vengono riverberate in ogni conversazione con amici di uno o dell'altra, per la difficoltà di cercare argomenti non offensivi o temi  che non necessitino di una cultura particolari. 
A far da cornice su tutto questo c'è il referendum sulla Brexit, di cui tutti parlano con toni decisi e categorici, lasciando poco spazio ai confronti. Lucy, da intellettuale che insegna in una scuola pubblica, riflette sulle conseguenze di una possibile uscita dall'Europa, e sulle tipologie di elettori pronti ad abbandonare l'economia sovranazionale. Joseph, troppo giovane per curarsene realmente, si lascia influenzare dalle opinioni della sua famiglia, senza preoccuparsi troppo. 
Così Hornby racconta la loro storia, che procede tra alti e bassi, alontanamenti e riavvicinamenti, mentre i personaggi attorno ai due protagonisti prendono consapevolezza, increduli, di quanto sta accadendo. 
L'ultima pagina arriva dolcemente, con frasi calme, che resteranno nella memoria di chi legge ben di più di un colpo di scena. 

mercoledì 24 febbraio 2021

Fu sera e fu mattina, Ken Follett, Mondadori

Pensando a come recensire un volume così intenso e corposo, come Fu sera e fu mattina, la prima osservazione che si è affacciata alla mia mente non è del tutto positiva, ovvero che questa volta la trama ha preso decisamente il sopravvento sulla cura dello stile e del ritmo degli episodi. Ci sono balzi temporali senza soluzione di continuità o scansione in capitoli; ci sono episodi chiave semplicemente raccontati come già accaduti e momenti fondamentali che vengono passati come minori. 
Poi però, quando ho cominciato ad analizzare tutto il materiale, mi sono resa conto che così non è, o almeno non del tutto. 
In questo romanzo, ambientato dal 997 al 1006, Follett ha seguito le vicende di due grandi blocchi di famiglie: quella di un povero costruttore di barche che ha perso tutto a causa di un'invasione vichinga, e quella dei nobili che governano tutti gli aspetti del territorio, da quello giuridico a quello aministrativo e militare. Per farlo, ha creato decine di personaggi, tutti ben vividi nella mente del lettore, sebbene con nomi estremamente simili (vi prego, autori in erba, non fatelo!). Ognuno di questi ha connotazioni fisiche e di carattere ben evidenziate, e una storia personale curatissima, tanto da permettersi di riallacciare le vicende di quel personaggio anche a distanza di molte pagine, senza tuttavia confondere chi legge. 
Le descrizioni ambientali, pur così lontane dal nostro mondo e così poco conosciute anche in ambito storico, sono perfette e riescono ad informare solamente facendo da sfondo ad una battaglia, una lotta tra rivali, una esecuzione. Così, mentre le pagine corrono veloci per trascinare il lettore alla scoperta di nuovi intrighi, questi scopre come erano fatte le case dei poveri, cosa si mangiava e beveva, come lavorava un incisore o un costruttore di barche, e qual era la differenza (molto labile) tra permesso e consentito. 
Insomma, non cercate sfumature di stile o ricercatezza di lessico, ma leggete questo romanzo, vi divertirà. 


martedì 26 gennaio 2021

Pietro Leveratto, Il silenzio alla fine, Sellerio

Vi consiglio vivamente la lettura di questo romanzo dalla scrittura agile, che non teme lirismi, che tocca con leggerezza temi chiave della letteratura del Novecento:

Il silenzio alla fine, Pietro Leveratto.
La vicenda ha inizio in Italia nel 1932 e vede un personaggio viscido e dall'ottusità quasi imbarazzante, Gaspare Tiralongo, cercare di conquistare la stima di Benito Mussolini, suo collaboratore della prima ora, cui è ancora immensamente fedele. Mussolini, che nemmeno si ricorda di lui, lo spedisce a New York con una scusa. Gaspare, entusiasta al punto da diventare un pericolo, decide di ingraziarsi il suo idolo con un rapimento.
Ma ecco che, giunti a Nuova York, scopriamo che i protagonisti sono altri:
"Se ne stavano in silenzio da qualche minuto, in piedi, mentre le loro ombre disegnavano le figure di un uomo alto e corpulento accanto a un altro magro e di bassa statura. Era una di quelle giornate possibili solo in aprile, quando, sotto il cielo alto senza una nuvola, il vento leggero porta con sé l'odore speciale della salsedine e delle alghe che si disfano al sole già quasi caldo."
Con queste parole incontriamo David Weissberg e Bruno Göetz, e
non li dimenticheremo facilmente, perché con loro saremo trascinati nel momento più complesso che la città abbia attraversato nel XX secolo: sono i giorni del rapimento di baby Lindbergh, la fine frastagliata del proibizionismo, la miseria devastante della grande depressione.
La scrittura è curatissima e la trama unisce invenzione e cronaca. Il basso continuo è la musica, il jazz, l'opera, i grandi interpreti d'orchestra. Da leggere.