lunedì 30 maggio 2016

Jo Nesbø, Sole di mezzanotte, Einaudi

Jon sta fuggendo; non dalla polizia, nonostante la sua vita di spacciatore, ma dal “Pescatore”. Ha disobbedito a lui, capo di una spietata organizzazione malavitosa, e ora deve pagare. Sa che lo troveranno: il Pescatore trova sempre chi sta cercando, ma non è questa la parte più difficile, il difficile è non sapere quando, lo stillicidio di un’attesa inevitabile.
La sua fuga lo porta lontano, al nord della Norvegia, nella contea del Finnmark, in un’estate di luce continua, di giorno-non giorno, in un luogo desolato e inospitale, dal fascino dubbio e complesso. Non è quello che si dice a proposito dei luoghi inospitali? Per darsi un’aria brusca, di persona navigata, superba, proprio come ci si vanta di amare la musica incomprensibile o la letteratura illeggibile?
Qui Jon lotta per sopravvivere, per confondersi e nascondersi, nonostante i paesaggi sconfinati a perdita d’occhio, nonostante i pochissimi abitanti si conoscano da sempre tra loro, nonostante la luce continua del sole di mezzanotte.


Nesbø gioca con le tecniche narrative, creando un romanzo in prima persona, narrato seguendo quasi totalmente la “fabula”, la cronologia degli eventi, con rari flashback. A cominciare dall’Incipit metanarrativo: Da dove vogliamo cominciare questo racconto? Mi piacerebbe poter dire dal principio. Ma il fatto è che non so dove inizi.
Come in moltissimi gialli, l’evento d’esordio è difficile da individuare e da isolare, e così Nesbø ci avvisa fin da subito.
Le parti narrative sono esposte senza veli, come un prestigiatore che, nel corso della sua esibizione, spieghi tutti i trucchi del suo numero di illusionismo. Ma la sua bravura è così eccelsa che alla fine scordiamo di ascoltare i passaggi tecnici e assistiamo sbalorditi alla magia.
La narrazione introduce nuovi personaggi e ci fa conoscere quelli che non interverranno più, della vita passata di Jon. Le presentazioni sono quasi sempre dirette, eppure mai banali: sembrava un jolly uscito da un mazzo di carte. La trama, all’apparenza lineare, è invece intrecciata a sottotrame complesse, che virano dal noir allo psicologico, fino al romanzo di formazione. Perché in fondo, Sole di mezzanotte, è la storia di una redenzione. 

martedì 24 maggio 2016

XXIX Salone del Libro

La XXIX edizione del Salone del Libro di Torino si è conclusa ormai da una settimana. Cosa mi resta di quei giorni intensi, pieni? Sicuramente l’emozione di essere stata, per la prima volta, dall’altra parte di un bancone, di avere avuto appeso al collo il Badge di Espositore.
Con la Echos Edizioni abbiamo vissuto il momento in cui il Salone non era altro che una serie di stand vuoti, un guscio di sostegni ignifughi, di banchi lisci e lucidi, di moquette rivestita di cellophane per evitare i solchi dei carrelli colmi di scatoloni.
Entrando dal portone Espositori, abbiamo respirato un’aria da “dietro le quinte”, abbiamo scaricato centinaia di volumi che, nei cinque giorni seguenti, sono stati sfogliati, letti, acquistati e rimpiazzati da copie fresche di ristampa.
Le emozioni di quei giorni sono andate al di là della mia immaginazione; il mio stupore non è stato quello di assistere alla kermesse libraria più importante dell’anno da un nuovo punto di vista, ma di scoprirne lati imprevedibili, che tenterò qui di elencare, certa di tralasciarne qualcuno di memorabile, che resterà comunque nei miei ricordi.
Innanzitutto il contatto diretto tra gli entusiasti autori Echos e il pubblico, pronto all’ascolto e curioso di scoprire nuove trame e nuovi stili.
Gli incontri con altri editori, nuovissimi, emergenti o storici, come la centenaria Giunti, fondata nel 1497. La grave quantità di sedie a rotelle, di anziani e di giovanissimi, che percorrono agevolmente i corridoi, aiutati dalle inesistenti barriere architettoniche e invogliati da attività come la lettura e l’ascolto, facili e appaganti.
Gli incontri con gli scrittori, non nelle sale superilluminate, seduti ad una cattedra, ma tranquillamente a passeggio per gli stand, sicuri di essere magari riconosciuti ma non importunati da chi è in visita e che, come loro, forse sta soltanto cercando un’atmosfera. Antonio Manzini che passa davanti al mio stand e risponde al mio saluto (pensando: “ma chi diavolo è questa?”) con un cenno del capo. Massimo Tallone che mi porta allo stand della Golem per presentarmi qualcuno; io che lo seguo dubbiosa e lo vedo accennare ad un signore anziano, seduto dietro il banco: «Ti presento Pupi Avati», e io tendo la mano incapace di dire altro che «Piacere, Maria Teresa».
La presentazione della nuovissima, eppure già storica, casa editrice La nave di Teseo, con il grande assente Umberto Eco, ospite d’onore scomparso quando tutto era già stato organizzato.
Giovanni Allevi che, con il suo solito fare ridanciano, al limite dell’assurdo, risponde alle domande nello stand della Rai, davanti ad una folla curiosa, in attesa di farsi autografare il suo libro.
La piacevolezza delle code educate e tranquille, senza sorpassi o spintoni, di chi attende di raggiungere la porta di una grande sala, sapendo che forse non ci sarà più spazio.

Certo, non è stato tutt’oro, ci sono stati momenti meno felici, ma si sono persi e non li ricorderò.
Il momento più bello, però, è stato a fine Salone. I portoni sono chiusi, la folla è uscita, gli stand sono ormai mezzi vuoti e i carrelli colmi di scatoloni ricominciano a varcare in senso inverso il portone. Attraverso il corridoio e mi affaccio allo stand della Sellerio, che è davanti al nostro. Chissà se mi vendono l’ultimo di Malvaldi fuori tempo massimo? Chiedo al commesso che sta inscatolando quei titoli; lui si alza, ed è proprio Malvaldi.
«Se mi fermo mi addormento» dice quasi per giustificarsi. Alla cassa una signora che non lo ha riconosciuto mi chiede quale sia il più bello tra i suoi libri. «Milioni di milioni» rispondo sicura, «l’ho già letto due volte e adesso aspetto il seguito», concludo ammiccando verso di lui. «Devi chiedere a mia moglie, è lei che ha inventato la trama» e ridacchia.
Sono le undici passate, le luci si stanno spegnendo, gli stand sono tornati i gusci vuoti che erano sei giorni fa. Siamo esausti, i nostri piedi chiedono di uscire dalle scarpe, le schiene vogliono un letto, ma sono già certissima: sentirò molto presto la nostalgia del Salone. 

martedì 17 maggio 2016

Roberto Girardi, Amelia dolce Amelia, Araba Fenice

La storia della nostra protagonista comincia prima ancora della sua venuta al mondo, quando Elide, una splendida ragazza di Sant’Ambrogio, incontra un giovane immigrato e se ne innamora. Nunzio, il bruno e seducente latino, ricambia l’amore e abbandona le facili avventure per sposarla e mettere su casa e famiglia.  Da questa unione nasce Amelia, e la sua bellezza è tale da lasciare in ombra Elide, il cui personaggio, pian piano, abbandona la scena, per lasciare tutti i riflettori puntati sulla sua meravigliosa bambina.
Gli sguardi sono tutti posati su di lei, fin dai primi giorni di vita; la sua bellezza attira coloro che le passano vicino, magari in modo diverso: sguardi ammirati, che diventano invidiosi quando le altre mamme, inevitabilmente, capiscono l’irraggiungibile bellezza di Amelia. Col passare degli anni, però, questa invidia si trasforma in maligna soddisfazione, perché Amelia, la bellissima, dolce Amelia, è inguaribilmente stupida.
La sua immensa ottusità non le è però di alcun ostacolo nella vita; guidata dalla nonna, da cui ha ereditato certamente il quoziente intellettivo, impara fin dalla più tenera età a mostrare doti tanto inutili a livello scolastico e lavorativo, quanto fondamentali per essere sempre al centro dell’attenzione in tutte le occasioni mondane.
La ragazza cresce e impara le arti della seduzione senza secondi fini, ma soltanto per divertirsi: nella sua limitatezza, Amelia è buona e generosa, anche di sé. Attorno a lei ruotano personaggi vivaci e spassosi, che l’accompagnano nelle fasi della sua vita e nelle incredibili, esilaranti avventure.

Roberto Girardi, giunto al terzo romanzo, si cimenta con una classica commedia brillante molto paesana, in una narrazione ad episodi.  Ogni capitolo ha infatti un inizio e una fine, rendendo così la lettura ancor più scorrevole e divertente.
Le vicende vengono ambientate con grande successo nella cittadina della Val Susa (ma nulla vieta al lettore di estrapolarle dal locale e situarle con la fantasia ovunque desideri).
Lo stile di Girardi è schietto e veloce; la battuta pronta e il lessico ricco dipingono scene accattivanti. Il suo è un umorismo goliardico, mai sboccato o volgare, ma certamente malizioso; trascina con la spumeggiante Amelia il lettore, avvolgendolo in un’atmosfera ridanciana e leggera. 

sabato 7 maggio 2016

Laboratorio giallo, 19 maggio a Giaveno

Ne uccide più la penna
che la spada
Laboratorio di scrittura in giallo
giovedì 19 maggio
dalle  18,00 alle 21,00
a Giaveno
Tenteremo l'ardua impresa di scrivere, in sole 3 ore, un racconto poliziesco o un noir o un thriller.
Lezioni teoriche, consigli pratici, letture di brani d'autore e

esercitazioni sul campo.
Armatevi di penna, vi aspetto!

Costo del laboratorio: 30,00 euro
Per informazioni:
mariateresa.carpegna@gmail.com

mercoledì 4 maggio 2016

Massimo Tallone e Biagio Carillo al Salone del Libro di Torino

DAL DELITTO AL ROMANZO
Tra scena del crimine e fiction: dove va il noir contemporaneo?
Spazio Piemonte
Giallo, noir e thriller
venerdì 13 maggio, 
ore 19:30
Sala Arancio
a cura di 





Partecipano:

  • Biagio Fabrizio Carillo
  • Filippo Losito
  • Massimo Tallone