mercoledì 18 marzo 2015

AA.VV, Venti di montagna

Da quel primo laboratorio alla Palazzina, altri ne sono susseguiti, tra cui una giornata di intensa scrittura a casa mia a inizio estate.
Il fatto di abitare a 600 metri di altitudine e di avere un terrazzo rivolto verso le montagne della Val Sangone ha aiutato l’ispirazione. Di più hanno fatto gli autori che abbiamo analizzato, di cui abbiamo letto brani, cercando nelle loro parole il fulcro generatore della narrazione.
Da questi incontri sono nati molti racconti, diversissimi tra loro come stile e tematiche, ma uniti nell’ambientazione: la montagna.
In base a queste caratteristiche necessarie, io e gli editori della casa editrice Echos abbiamo scelto un’antologia di venti racconti. Grazie all’artista Vinicio Perugia, che ha disegnato la meravigliosa volpe della copertina, e alla creatività di mio marito, titolista fantasioso, abbiamo creato il volumetto Venti di montagna

Questi gli autori che sono stati pubblicati: 


Luciana Accomasso
Lina Cerrato
Elena Di Bella
Rocco Di Narbonne
Anne-Mette Lund
Daniela Negro
Alesandro Piva
Gabriella Tessa

Sebbene in Italia i racconti siano perlopiù evitati dagli editori, e, causa principale, dai lettori, il libro è subito partito bene. La spinta necessaria gli è stata data dalla prima presentazione ufficiale, nella sala dell’Ecomuseo di Coazze.
Tutte le sessanta sedie erano occupate e molti spettatori sono rimasti in piedi. Io, sul palco con i dieci autori, per la prima volta sono rimasta senza parole quando, ancor prima della presentazione, gli autori mi hanno consegnato un pacco regalo, contenente il quadro di copertina.
Non mi capita spesso di esser bloccata dall’emozione, ma quella volta è successo!
Per fortuna gli autori hanno saputo destreggiarsi meglio di me e hanno presentato impeccabilmente un libro non facile: come raccontare la trama, non di una, ma di venti storie diverse? Come illustrare i tantissimi e diversissimi personaggi? E come riuscire a rendere l'atmosfera che avvolge tutta la raccolta come se si trattasse di un'unica storia?
Loro ci sono riusciti, e hanno ancor migliorato la performance alla biblioteca di Giaveno qualche settimana più tardi, leggendo brani dei loro racconti a voce alta. 
Se tu che stai leggendo sei uno di quegli autori, permettimi di rivolgerti ancora un grazie gigantesco per quell’emozione. 

Elisa Bevilacqua, Praticamente mezzo paese

Conosco Elisa da tantissimi anni, da quando eravamo quasi colleghe e scrivevamo per lo stesso settimanale locale. Dico “quasi” perché, mentre lei andava a tutti i consigli comunali, intervistava politici e si prendeva un sacco di rogne, io recensivo libri, assistevo ad opere teatrali in dialetto, partecipavo ad inaugurazioni di vie e restauri di cappelle votive. Così lei è diventata giornalista e io ho comprato una libreria con mio marito.
Le nostre vite lavorative si sono ancora incrociate in modi diversi: è stata commessa nella nostra libreria per un certo periodo e lo scorso anno ha frequentato i miei due corsi di scrittura.
La prima esercitazione del secondo corso consisteva nella stesura dell’Incipit di un ipotetico romanzo. Quando ho aperto la mail di Elisa e ho cominciato a leggere, mi sono accorta che non volevo interrompere, che le poche righe non mi bastavano.
Elisa deve aver pensato la stessa cosa, infatti alla fine del corso aveva scritto quasi tutto il romanzo.
Praticamente mezzo paese, edito da Il Graffio, è il frutto di questa scrittura, rapida, quasi tutta in ore notturne, che lei stessa ha utilizzato come sfogo e divertimento nel corso di una campagna elettorale combattuta e ricca di candidati. Ma sentiamo come vede il romanzo a quasi un anno dall’inizio della stesura.
Io e Elisa al Treff

Qual è stato il punto di partenza che ti ha ispirato?
Come giornalista mi sono trovata a dover raccontare per la quinta volta le elezioni amministrative nel territorio di mia competenza per il giornale locale. E la maggior parte degli attori era la stessa di quando ho cominciato, ovvero cinque lustri prima! Ho voluto giocare un po’, inventandomi una competizione elettorale completamente sfalsata da un omicidio. Per me che di questo ci vivo, le elezioni e la politica locale in genere sono una fonte di notizie, di reddito ma anche di risate, di mal di pancia e di aneddoti. È la mia vita. Mi sono detta: se la metto in tono scherzoso, magari interessa anche a chi i miei articoli non li ha mai letti e in generale si disinteressa della politica locale. Che poi non è solo quella della “mia” zona, ma credo in generale di tutti i piccoli paesini di cui l’Italia è composta. Consigli comunali: io, il collega e un cane. Anzi, nemmeno il cane. Mettiamola sul ridicolo, e vediamo che succede.

Il parallelo con fatti e persone reali è stato un aiuto o un ostacolo?
Per il personaggio della giornalista, è chiaro a chi mi sono ispirata: ostacolo. Gli altri sono inventati, anche se è logico che qualche tratto di base sia influenzato dalla mia esperienza diretta. Direi che le caratteristiche principali di ognuno di loro derivano da persone realmente esistenti, ma da lì in poi ho aggiunto, tolto, limato, stravolto, magari comprimendo in un unico personaggio più persone reali incontrate nel mio percorso, o al contrario espandendone altre fino ai limiti del sarcasmo. La stessa cosa vale per i fatti: non c’è nulla di vero, ma di plausibile sì. È stato senza dubbio un aiuto: dopo vent’anni di veridicità di quel che scrivi, prendi tutto quel che hai accumulato e finalmente lo usi, seppure trasformato.

Da quanto tempo lavori come giornalista?
Lavoro come imbrattacarte dal 1991. Ho scritto per diverse testate locali, occupandomi di cronaca e politica. Sono persino stata direttrice responsabile di un quindicinale a distribuzione gratuita; me lo avevano affidato dei pazzi.

Come hai deciso di passare dal giornalismo ad un romanzo?
Come spesso accade, c’è un romanzo nel cassetto da molti anni. E credo che lo rimarrà per molto tempo ancora, perché è un romanzo molto giornalistico e su un tema che mi tocca molto da vicino.
La spinta a raccontare in piena libertà di fantasia è venuta dal tuo corso di scrittura narrativa che ho seguito l’anno scorso. Tra gli esercizi che avevi proposto c’era la stesura di alcuni racconti, e in uno di questi sono comparsi come per magia il Capitano Coralli e la giornalista Antonella Giovannini. Appurato che mi divertiva e mi rilassava molto scrivere in piena libertà, che avevo trovato una sorta di alter ego su cui potevo riversare tutte le mie ansie e che mi ero innamorata di un carabiniere immaginario, ho cominciato a scrivere una storia. Direi quindi che è stato un passaggio casuale, anche se alla casualità non credo molto. Certo non è stato casuale essermi iscritta a quel corso.

Questa è la tua prima esperienza narrativa?
A parte i racconti di cui sopra sì. Ho scritto alcuni libri di storia locale, divulgativi, e in alcuni di questi c’è la narrazione, ma sempre attinente a fatti reali, o come trasposizione di interviste. Il che, dopo tanti anni, lo assicuro, diventa una noia mortale.

Come hanno accolto il libro i tuoi lettori?
Devo dire sinceramente che finora ho avuto solo tre critiche negative, di cui una indiretta, che suonava più o meno come “è molto ben scritto però…”. Il però non mi è dato saperlo, quindi in realtà – volendo vedere sempre il bicchiere mezzo pieno - dovrei prenderlo come una critica positiva perché, almeno, è ben scritto. Le due dirette hanno centrato un problema a cui cercherò di porre rimedio nei prossimi libri: c’è un’accelerazione molto forte man mano che si procede verso il finale; avrei forse potuto diluire di più gli avvenimenti. Mi servirà da severo monito!
Gli apprezzamenti positivi invece, hanno cercato dei paragoni, di cui non posso che essere fiera. L’ultimo è stato: “un po’ Simenon un po’ Benni. Ironia e tanto ritmo”. Esticavoli. Non sto a dirti gli altri, perché sono tutti esagerati, comunque graditissimi. Va beh, li dico, così me la tiro un po’: Camilleri, Manzini, Vitali, Mogliasso, Oggero.
Fico eh?

Hai avuto critiche da chi si è riconosciuto?
La signora del “ben scritto però…” è la moglie di un ex politico locale, e questo spiega molte cose. A parte gli scherzi, chi si è riconosciuto ha agito con molta eleganza e in un caso con un’assoluta e spassosa ironia. L’ispiratore del personaggio dell’antipolli ogni volta che mi vede mi dice: “I polli stanno bene. Tranquilla”. Io non so se al suo posto avrei reagito così. Altri o non si sono riconosciuti, o mi ignorano consapevolmente. L’unico personaggio che ho svelato al suo quasi-corrispondente-reale è quello del morto: l’ha presa con filosofia. Molta filosofia. Mi parla ancora, e non riesco a capacitarmene.

So che stai lavorando ad un nuovo romanzo; compariranno alcuni dei personaggi a cui ci siamo ormai affezionati?
Mi sto pentendo amaramente di aver ammazzato Filippo Cordero Gallo perché avrei ancora un miliardo di cose da scrivere su di lui. Magari farò un prequel, perché è un personaggio meraviglioso: tutti gli vogliono bene eppure tutti gli vogliono male. Nel nuovo romanzo compariranno di certo il Capitano Coralli e la giornalista Antonella Giovannini. Tralasciando la mia collega di inchiostro, e invidiandola anche un po’, voglio approfondire soprattutto la psicologia di Rino. Questo, ovviamente, perché ne sono innamorata. E pensa un po’, posso plasmare il mio amore a mio piacimento! Inoltre, ci saranno gli altri carabinieri della stazione di Buonaria, con qualche sorpresa. Ci sarà anche la nuova classe politica della cittadina, alle prese, oltre che con i problemi di tutti i giorni, con la demolizione di un edificio ed un vecchio caso riaperto. Invece dei bar, stavolta credo che descriverò le parrucchiere: si apre un mondo. 

Alessandro Boidi Trotti, Una strana partita, Araba Fenice

Quando ho ricevuto il manoscritto di Alessandro Boidi Trotti, ho cominciato la lettura con un po’ di apprensione: un primario di Radioterapia che scrive un romanzo il cui protagonista è un Oncologo poteva essere un grosso rischio. Il primo di questi rischi era un linguaggio troppo tecnico, con terminologie da referto medico, il secondo una trama angosciante, fatta di malattie, cure devastanti e lutti.
La prima sorpresa l’ho avuta già dall’incipit: una formazione calcistica della Juve come frase iniziale, come presentazione indiretta di un protagonista professionalmente impeccabile, ma umanamente fallibile e proprio per questo simpatico.
Da lì in poi le sorprese si sono susseguite di capitolo in capitolo, portandomi fin in fondo alla lettura di un romanzo allegro e, al contempo, profondo.
Le trame si intrecciano, alternando personaggi e situazioni gioiose a momenti di intima riflessione. Roberto, il protagonista, vive appieno la sua esistenza, senza negarsi goliardici intrattenimenti, ma sempre con un occhio puntato all’essenza della vita stessa.
Nelle sue giornate in ospedale egli incontra situazioni esilaranti o dolorose, che lo portano alla riflessione, ma anche a comprendere che la vita deve essere vissuta fino in fondo.
A dargli lo stimolo per queste riflessioni è un imprevedibile poker di donne, servitogli in una delle consuete partite con gli amici. Fissando le carte, e dimenticandosi a tratti del gioco che prosegue attorno a lui, Roberto ripercorre momenti del suo passato che trascinano il lettore in una serie di vicende spassose o emozionanti, grazie alle donne che ha avuto al suo fianco. Sono loro, le donne, ad averlo reso un uomo completo e felice della propria vita.




In questo romanzo ha creduto la casa editrice Araba Fenice, che ha voluto inserirlo nella collana Domani del suo catalogo, con il titolo Una strana partita. Appoggiando l’autore nelle diverse presentazioni, ha contribuito a far salire il romanzo ai vertici della propria classifica di vendita.
Il primo impatto con il pubblico è stato, per Boidi Trotti, la presentazione all’Unione Industriale di Torino. Sostenuto dalla dottoressa Marcella Mondini, segretario generale
UGI (Unione genitori italiani contro il tumore dei bambini) e da Paolo Gallarati,  professore ordinario di Istituzioni di Storia della musica e di Drammaturgia musicale all’Università di Torino, nonché critico musicale de La Stampa, Alessandro ha aperto le pagine del suo libro davanti ad una folla di un centinaio di persone. Gli amici, curiosi di riconoscersi all’interno delle vicende, e il pubblico di lettori, più interessati al lato creativo del romanzo, sono rimasti colpiti dalla sua simpatia e dalla sua brillantezza.
Molti altri incontri sono seguiti, per questo esordiente che adesso è già alle prese con una seconda opera narrativa.


mercoledì 11 marzo 2015

Massimo Tallone Book Therapy

Se c’è una cosa che non è assolutamente possibile affermare, senza cadere nel riduttivo, è che Massimo Tallone sia uno scrittore. Massimo è un insegnante, un umorista, un mattatore che sa tenere viva l’attenzione dei suoi ascoltatori per sei ore e dodici minuti, è un giallista, un romanziere, un critico letterario e grande conoscitore dei classici.
Ed è un book therapist.
Ho frequentato il suo corso di Book Therapy nei mesi di maggio e giugno del 2014 e ho scoperto, se possibile, ancora un nuovo lato della sfaccettata personalità di Massimo: la sua profonda umanità e empatia.
La sua intima conoscenza della letteratura italiana e internazionale non è fredda erudizione, da sfoggiare come un trofeo, ma una capacità che mette a servizio di tutti.
Innanzitutto il potere delle parole: le associazioni di vocaboli che, dominati e assorbiti nel profondo, possono aiutarci ad affrontare momenti difficili, come le malattie o i gravi disagi familiari ed economici. Le parole e le frasi prese dai grandi scrittori, così come le vite dei loro personaggi, che diventano esempio ed immedesimazione per una situazione complessa, saranno i nostri strumenti per guarire.
La “malattia”non più sinonimo di “morte”, ma collegamento logico di “guarigione”  e diventerà un mantra, così come le frasi dei classici, da imparare a memoria e fare totalmente nostre. Il tramite della letteratura, grazie all’aiuto di Massimo, ci farà vedere la nostra vita, la nostra quotidiana esistenza, non più come un banale susseguirsi di giorni, ma come una fantastica e memorabile avventura.

Per conoscere tutti i corsi organizzati da Massimo Tallone cliccate qui.

lunedì 9 marzo 2015

Corso di scrittura avanzato

Nei mesi di marzo e aprile del 2014 ho tenuto per la prima volta il Corso Avanzato di scrittura narrativa. Stesse modalità: cinque lezioni da due ore l’una e esercitazioni facoltative da fare a casa.
In questo secondo corso, però, gli argomenti affrontati sono decisamente più complessi.

Nel corso base si parte da zero, in modo che chiunque abbia voglia di scrivere possa cimentarsi. Dunque, vediamo, cosa serve per cominciare a scrivere? Una volta acquistato un blocco e una biro, o acceso il computer, serve un’idea. Questa dovrà essere sviluppata in un flusso narrativo, ovvero in una trama, in cui agiscano dei personaggi, le cui vicende dovranno essere narrate da una voce particolare, il narratore, seguendo un certo ritmo.
Et voila, il racconto è fatto.
Be’, non proprio. In realtà fino a questo punto si tratta ancora di qualcosa di astratto, di qualcosa che può esistere anche soltanto nella nostra mente.
A me piace molto camminare, mi fa bene e mi lascia libera di pensare. Così, mentre cammino, spesso mi immagino scene, invento situazioni e trame, creo intrecci. Insomma, pongo le basi di quelle che possono diventare delle narrazioni.
Talvolta, grazie al fatto che abito quasi in montagna e che percorro spesso strade isolate, registro queste idee sul telefono, ma nel farlo non mi preoccupo delle parole che uso. Idea, trama e personaggi sono già contenuti in questi brevi e slegati spunti, che diventano così semplice narrazione orale.
Provate a raccontare una fiaba, e poi a raccontarla ancora, e ancora una volta: le parole saranno certamente cambiate, non tantissimo, ma abbastanza da non poter essere considerata alla stregua di un testo scritto.
“C’era una volta una bambina, che abitava con la mamma al limite del bosco. Un giorno la nonna si ammalò e la bimba, che adorava la nonna da quando le aveva fatto un mantello…”
Ma anche:
“C’era una volta una bimba che tutti chiamavano Cappuccetto Rosso, perché anni prima la nonna le aveva fatto un mantello rosso col cappuccio e da allora non se l’era più tolto. Abitava…”
La fiaba è la stessa, ma le parole sono diverse: quello che conta è che il bambino che ci sta ascoltando ritrovi tutti gli elementi necessari.
Ciò non è più possibile se la fiaba è stampata su un libro e chi ha provato, leggendo insieme ad un bambino, a saltare righe per fare più in fretta, se n’è accorto benissimo.

Naturalmente anche nel primo corso è importante capire quali sono le parole più adatte alla narrazione, proprio a questo servono le esercitazioni, ma ciò su cui pongo l’attenzione una volta ricevuti gli elaborati è se c’è una valida idea di base e se questa idea è ben articolata in un flusso narrativo.
Nel secondo corso la mia attenzione è tutta sulle parole. Attenzione, non dico che controllo se le frasi sono ortograficamente o grammaticalmente corrette: questo dovrebbe già essere stato insegnato durante la scuola dell’obbligo. Parlo di frasi efficaci dal punto di vista narrativo, frasi adatte, anzi, perfette per un certo tipo di sequenza, di personaggio, di fase della trama. Sono le frasi, i periodi a creare il racconto; le più adatte per un Incipit folgorante, per un finale commovente, per un colpo di scena.
La parole, con i personaggi, sono quello che resta nella memoria di chi legge e che trasforma un dilettante in scrittore. 

Patrizia Boscaro

Ho conosciuto Patrizia Boscaro prima come scrittrice e poi come persona. Il suo libro Un tatuaggio è per sempre è un romanzo denuncia, una storia dolorosa che soltanto in seguito ho scoperto essere autobiografica.
Una delle consuete visite a domicilio dei Testimoni di Geova, che tutti noi conosciamo bene, incuriosisce una ragazzina di sette anni, che viene, con l'approvazione dei genitori, avvicinata a questa comunità religiosa. Non sa la ragazzina, ma neanche i genitori, colpevoli soprattutto di assenza distratta, ciò a cui sta andando incontro. Dopo un primo periodo di amorosa accoglienza, la comunità stringe i freni, usando la terribile arma psicologica del senso di colpa per costringerla a una vita di sottomissione e isolamento. La ragazza si adegua ai dettami culturali e comportamentali, per poter restare all'interno della comunità ed entrarne nel vivo. Interrompe gli studi e, neanche maggiorenne, sposa un ragazzo stimato e apprezzato come Testimone di Geova, ma che in realtà è un individuo violento e pericoloso. La protagonista troverà finalmente il coraggio di abbandonare la gente che credeva "sua", ma che invece non l'aveva mai veramente accolta; un abbandono anch'esso doloroso, ma che conduce alla rinascita, in cui un tatuaggio è il simbolo di una realtà conquistata.
Patrizia mi aveva chiesto di recensire il libro e di aiutarla a promuoverlo con presentazioni. Ho scoperto così una persona sensibile e un'ottima scrittrice e ne ho avuta una conferma al momento in cui si è iscritta al mio corso. Nei racconti che mi inviava come esercitazione ho scoperto un lato imprevedibile della sua narrazione: il thriller.
Non so se Patrizia abbia continuato con questo nuovo filone, ma me lo auguro, perché prometteva molto.

Sara Goria

Sara Goria
Seconda classe, lato finestrino ha visto la luce delle stampe nella casa editrice Lineadaria di Vincenzo Lerro, proprio in tempo per il Salone del libro di Torino. Si tratta di una storia amara, in cui il protagonista è un uomo incapace di provare sentimenti profondi. Questa sua inadeguatezza risale all’infanzia, quando i genitori, per potersi dedicare al fratello handicappato, morto in giovane età, lo mandarono a vivere con parenti lontani. Tutto il romanzo è permeato da questo lutto che ha scombinato gli equilibri e le menti della sventurata famiglia, in particolare quella brillante del protagonista.
Sara Goria, valdostana, ha presentato il romanzo in diverse librerie del nord Italia, ma una delle prime presentazioni è stata nella mia Giaveno, dunque ancora più emozionante per me; eravamo ospiti del locale Treff, i cui titolari, Alice e Pasquale, sono molto attivi nella vita culturale della zona.
Sara Goria ha partecipato al mio Corso Base di Scrittura narrativa nei mesi di febbraio e marzo del 2014, quando stava ultimando la stesura del suo romanzo.

Al termine del corso, Sara ha voluto una mia valutazione del romanzo, sebbene fosse già stato dato all’editore. In effetti non era necessario un vero editing, piuttosto una semplice rilettura attenta, essendo la storia già perfezionata e i personaggi ben definiti.
Al momento della presentazione, tra il pubblico di Sara c’erano molti dei suoi compagni di corso, e questo, ovvero il sapere di aver di fronte altri aspiranti scrittori, l’ha ovviamente emozionata. Del resto, come molti autori, anche Sara è un personaggio schivo, che dà il meglio di sé nella parola scritta.
La scrittura tocca corde profonde e sensibili, e nel momento in cui l’autore dà vita ai personaggi, dà loro un destino, sente un coinvolgimento e una partecipazione incredibili. Ma viene un giorno in cui le sue creature, che vivevano soltanto nella sua mente, devono liberarsi ed entrare anche nella mente dei lettori. In quel momento l’autore vive in uno stato di ansia molto profonda: come reagirà il pubblico? Proverà i turbamenti, le paure e trepidazioni del protagonista?
Fortunatamente il momento passa in fretta e il vero scrittore è già proiettato verso altri personaggi ed un nuovo romanzo. 


Antonio Manzini

Uno dei punti più difficili dei miei corsi, quando il rischio-sbadiglio è altissimo, è il momento in cui parlo dell’autore implicito; un concetto astratto, che la narratologia considera decisamente importante, con mio totale accordo, ma che nella pratica sembra del tutto inutile. Eppure così non è.

Quando ho incontrato Antonio Manzini, per presentare con lui La costola di Adamo alla libreria di Rivalta, ho finalmente scoperto “dal vivo” chi è l’autore implicito. A metà strada tra l’autore e il lettore ci sono infatti diverse personalità che si insinuano a mediare le parti della narrazione. Il narratore è naturalmente il più evidente, cioè colui che si occupa di raccontare la storia, sia egli interno alla stessa oppure no. Ma, tra le righe, e in modo talvolta inconscio, si insinua qualcuno che non è il narratore e nemmeno l’autore. È qualcuno che sta a metà tra l’invenzione dell’autore e l’autore stesso, qualcuno che, mentre leggiamo il romanzo, viene creato da noi come colui che ha scritto la storia (avete capito quanto è noioso l’argomento?).  Provate a leggere un romanzo di cui non conoscete l’autore: alla fine vi sarete creati uno scrittore ad hoc. Se vi siete immersi nella campagna inglese, tra cottage zeppi di libri e tavolini da tè, vi sarete immaginati magari una scrittrice dedita al lavoro a maglia e alla coltivazione di rose. Ed ecco che, alla prima presentazione, o alla prima intervista che leggete su un settimanale, scoprite che l’autore è un giovane laureato in Lingue, con una passione per Agatha Christie e Jane Austen.
Oppure, durante la lettura di un poliziesco ambientato nella mafia del sud Italia, avrete pensato ad un giornalista o ad un ex-magistrato che vive sotto scorta. Grande sarà la vostra sorpresa nello scoprire che invece si tratta di una giovane autrice molto ben documentata.
Questo accade perché molte delle informazioni che avete creduto di ricevere in realtà non le avete ricevute, ma le avete costruite voi da ciò che l’autore ha comunicato in maniera implicita, tra le righe.
Leggendo Pista nera e La costola di Adamo, di Antonio Manzini, mi ero fatta l’idea di uno scrittore tormentato, dal passato doloroso; un romano che detesta le abitudini del nord Italia, il freddo, la neve e i valdostani in particolare, con il loro accento simil-francese e la loro imperturbabilità. In pratica mi aspettavo un altro Rocco Schiavone, ovvero il vice questore protagonista dei suoi polizieschi: un tetro e solitario vedovo, dalle abitudini poco limpide, costretto a vivere ad Aosta per scorrettezze professionali.
Ero pronta per una presentazione complessa, dove avrei dovuto restare in disparte ma cercando di tenere allegro il pubblico, di non fargli sentire il peso di uno scrittore che non alza lo sguardo dalle sue ginocchia.
Poi l’ho conosciuto.
Antonio Manzini è un personaggio solare, dalla risata sempre pronta; le sue battute si susseguivano così rapidamente da non lasciare il tempo per prendere fiato tra una e l’altra. Le mie domande, accuratamente preparate, sono rimaste su un foglio di carta, mentre il nostro diventava un vero e proprio show improvvisato di botta e risposta, in cui senza accorgermi avevo assunto il favoloso ruolo di spalla. E mi calzava a pennello!

lunedì 2 marzo 2015

Stefania Bertola

Un lieve inconveniente del mio mestiere di Editor è che quando mi capita tra le mani un romanzo, non riesco più a vederlo “soltanto” come un piacere; non riesco a lasciarmi trascinare come un peso morto dal concatenarsi degli eventi, ma cerco di carpirne i segreti, di leggere tra le righe, i paragrafi, i capitoli, per scovare i trucchi che l’autore (soprattutto se si tratta di un grande autore) ha saputo maneggiare con destrezza.
In questo modo il divertimento non solo non diminuisce, ma aumenta in modo proporzionale alle bravura dello scrittore: scoprire al di sotto delle parole una rete di filigrana intrecciata magistralmente è una delizia per le meningi.
Quando poi lo scrittore riesce ad intrufolare nelle maglie della trama veri e propri “consigli di scrittura”, quando cioè il romanzo stesso diventa argomento, tema, personaggio, allora mi sento come Winnie the Pooh tuffato nel miele.
Ed è esattamente questo che è accaduto nel corso della lettura di libri come La verità sul caso Harry Quebert, di Joël Dicker, o Argento vivo di Marco Malvaldi o appunto Romanzo rosa di Stefania Bertola.
Io e Stefania Bertola
Ho letto Romanzo rosa al momento in cui stavo preparando le presentazione di un altro romanzo dell’autrice, ovvero Ragazze mancine (leggete anche questo mi raccomando) e, devo ammetterlo, lo avevo iniziato un po’ per dovere. Immaginate la mia entusiastica meraviglia quando ho scoperto che il tema conduttore era un corso su Come scrivere un romanzo rosa in una settimana, tenuto addirittura al Circolo del lettori di Torino.
La trama del romanzo è sdoppiata su due binari che corrono paralleli, ma si intrecciano (contravvenendo a tutte le regole della geometria euclidea): le lezioni di Leonora Forneris ai suoi assortiti allievi, e il romanzo che la protagonista-narratrice scrive a casa. 
Il trait-d’union sono le inusitate regole di scrittura, sorprendentemente lontane da tutto quello che potreste sentire ai miei corsi.
Ad esempio: l’ambientazione geografica del vero romanzo rosa, altrimenti detto Melody, deve essere approssimativa, da infarinatura wikipedica. I nomi dei protagonisti assurdi e, possibilmente, inventati unendo sillabe sonoramente evocative. I personaggi stereotipati nei luoghi comuni che tutti attribuiscono loro (l’italiano mammone e dai colori mediterranei, il greco statuario come un dio); i loro comportamenti assolutamente contemporanei; anche se la vicenda è ambientata in un villaggio scozzese del Cinquecento o sulle sponde di un Mississippi ottocentesco, i loro dialoghi saranno pieni di esclamazioni come “Ti sbagli alla grande” o “Ma che me ne importa”.
Così, tra un consiglio e l’altro, tra una risata a labbra strette ed una spanciata, ho cominciato a vedere un mondo del tutto nuovo: il best seller di rapido consumo.

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