mercoledì 19 giugno 2019

Montagne ribelli, Camanni e Oliva a Coazze. 14 giugno 2019


Può accadere così, che in un paese di montagna si radunino un centinaio di persone, una sera qualunque, semplicemente per ascoltare. Nessun video ad effetto, nessuna musica, solo parole, parole che raccontano la montagna.
Tutto nacque da un’idea di Alfio Usseglio, in collaborazione con la sezione CAI di Coazze, di cui è presidente. Appassionato da sempre di sport alpini, frequentatore di cime e valli in tutte le stagioni, la sua concezione di montagna è a tutto tondo: non solo turismo e attività fisica, ma cultura, lingua e storia. 
I nostri monti italiani, le Alpi in particolare, non sono solamente antiche tradizioni e racconti dei nostri vecchi, ma sono stati teatro di guerre e battaglie, sono rifugio per ribelli e rifugiati,  scenario di guerriglia e liberazione.  
Nella nostra piccola Val Sangone è nato lo sci alpino, quando, nel 1896, Adolfo Kind salì a Giaveno e da lì a Pra Fieul, da dove raggiunse il Cugno dell’Alpet, per scendere con i suoi ski in legno e far nascere così lo sci.
Sport e storia, sci e cultura non possono dunque che essere legati. Per cercare le radici di quei legami Alfio ha invitato due ospiti perfetti: Enrico Camanni e Gianni Oliva.
Carpegna, Camanni, Usseglio e Oliva
Camanni, scrittore, giornalista, alpinista, è autore di due testi che vengono presentati nel corso della serata e che spostano il punto di vista di chi osserva la montagna. Il fuoco e il gelo, saggio che raccoglie le testimonianze dei soldati in trincea durante la Prima Guerra Mondiale, quando i monti erano luoghi da conquistare, da abitare e scalare anche sotto le valanghe, o sui ghiacciai in inverno. Il secondo libro, Alpi ribelli, è una lunga carrellata sui personaggi storici, magari non sempre conosciuti, che hanno fatto dei monti un rifugio e un nascondiglio.
Ad Oliva, storico, saggista, docente e personaggio politico, spetta il compito di evidenziare, traendo dai suoi moltissimi saggi, l’idea di una montagna differente.
«Per riuscire a comprendere l’importanza dei monti nella storia, dobbiamo tornare indietro nel tempo».
Così nelle parole introduttive di Gianni Oliva si apre il racconto, e gli occhi degli spettatori non vedono più un tavolo su un palco, ma cime spoglie e valli splendenti di erba grassa, percorsi di animali, pastori, mercanti, movimenti di gente e di eserciti. Le valli si trasformano, i crinali non sono più i confini che rappresentano adesso, ma comunicazione e snodo.
I sentieri erano percorsi in continuazione in estate, come le vie più rapide per collegarsi con i paesi oltre le creste, e i crinali non dividevano, ma univano. Basti vedere la distribuzione dei dialetti, che valica le cime e si arresta a fondo valle.
«I popoli si mescolavano. I giovani andavano nelle valli vicine per cercare le ragazze e sposarle» spiega Enrico.
D’inverno tutto si fermava, in attesa, ma le slitte, le racchette, che noi ora chiamiamo ciaspole, i primi sci erano molto più agili dei carri.
Per due ore restiamo ad ascoltare, incantati dalle loro parole, da ciò che evocano. Le loro frasi dipingono immagini forti, memorabili. I primi sciatori sul fronte orientale, che scivolano sugli sci nelle loro tute bianche verso il nemico; la mitragliatrice che scarica il suo metallo, tingendo di rosso i corpi e la distesa di neve, in una carneficina. Le nostre baite che, dopo l’8 settembre 1943, vengono raggiunte da chi rifiutava il fascismo, e che era salito, magari, sul primo treno che portava in montagna per poi organizzarsi in bande partigiane. La prima vittima di Coazze, Evelina Ostorero, di soli sedici anni, uccisa perché non aveva risposto all’Alt, essendo sordomuta.
La storia va imparata, anche da questo. E se non è più possibile ascoltare le testimonianze dirette di chi l’ha vissuta e creata, va cercata nei libri di storia.
«Gli anni passano e il rischio di perdere le fonti è enorme. I ragazzi devono conoscere il Novecento, le due guerre, ma anche gli Anni di Piombo, i movimenti politici fino ai giorni nostri. Tutto ciò che viene prima, può essere sintetizzato, ma l’ultimo secolo va approfondito al massimo». Così Oliva, preside e insegnante, vede l’importanza dello studio scolastico.
«I nostri ragazzi spesso non conoscono i fatti e, purtroppo nemmeno la geografia. Come si può comprendere l’importanza degli eventi se non si sa collocarli?» commenta Camanni.
La serata, purtroppo, volge al termine. Il pubblico lentamente esce dal Palafeste, aspettando il prossimo incontro, che speriamo avvenga prestissimo.




martedì 4 giugno 2019

Perché scrivere la mia autobiografia?

Laboratorio di scrittura autobiografica

Quando ci porremo come obiettivo, a breve o lungo termine, quello di scrivere la nostra autobiografia, inevitabilmente sorgeranno delle domande, alle quali dovremo dare subito risposta. Non hanno un ordine di importanza, ma prima o poi spunteranno, siatene certi.
Cominciamo dalle domande, poi parleremo delle risposte, che non saranno mai verità assolute, ma sempre opinabili. Perché uno dei punti che dobbiamo tenere a mente, se vogliamo cominciare a scrivere, è che la scrittura narrativa non è una scienza.
Se io chiedo qual è il valore di x in una equazione matematica avrò solamente una risposta, magari multipla, e questa sarà la verità. Lo stesso accadrà per qualunque domanda scientifica, magari di chimica o biologia o astronomia.

In narrativa la verità non esiste, le risposte possono essere tutte diverse e tutte valide.
Ciò premesso, cominciamo a progettare la nostra autobiografia. Ci sediamo al tavolo del computer, oppure prendiamo in mano un nuovo quaderno, oppure ci incamminiamo a passeggiare in un bosco, e iniziamo a pensare.
Ed ecco la prima domanda.
Perché dovrei scrivere la storia della mia vita? Non mi sembra poi così interessante. 
Cancelliamo subito questa idea dalla nostra mente: tutte le vite sono interessanti e possono essere raccontate, dobbiamo solo capire il perché.