lunedì 7 settembre 2015

L'aquilone, di Linda D'Addio

Il nonno riposava all’ombra fresca e profumata del pergolato. Le mani, nodose e torte dall’artrite, pendevano mollemente dal bordo del bracciolo della sedia a rotelle.
Dalla cucina che affacciava sul cortile proveniva il familiare rumore delle antine della credenza aperte e poi richiuse, il movimento dei tegami e lo scorrere dell’acqua nel lavandino.
Mentre preparava cena, sua figlia Emma, guardò verso il giardino e accarezzò con lo sguardo le tre figure silenziose sedute lì fuori: i genitori anziani e la sua bimba di sette anni.
Suo padre aveva il capo leggermente piegato da un lato: lo sguardo spento seguiva il ronzare sommesso delle api intente a bottinare tra i fiori del glicine. Seduta accanto a lui stava la nonna, odorosa lei stessa come il sacchettino di lavanda posto nel cesto del cucito che teneva in grembo; era china su un rammendo che di tanto in tanto posava per carezzare ora la mano avvizzita del marito, ora la pelle liscia e tenera delle gambe della nipotina, allungata sulla sdraio, spensierata, come lo si può essere solo a quelle età, intenta a soffiare nelle bolle di sapone.
D’un tratto, gli occhi grigio azzurri del nonno, a dispetto dell’Alzheimer incalzante, ripresero colore e vivacità e si rivolsero alla moglie porgendole una richiesta silenziosa.
Erano passate già alcune settimane da quando aveva pronunciato l’ultima parola, “Tilde”, la sua compagna da sempre, per poi ritirarsi in un suo mondo muto. Ogni giorno più lontano dalla realtà, cercava caparbiamente di aggrapparsi ad essa attraverso mozziconi di ricordi adesi l’uno all’altro come le bolle di sapone di Alice: legame delicato, inconsistente, pronto ad evaporare come un sogno al primo alito di vento.
Intanto, Alice volse il capo verso casa e gridò:
«Mamma! Abbiamo fame!»
«Ma è quasi ora di cena» contestò la mamma dalla cucina, «comunque, ok, vi porto qualcosa».
Pochi minuti dopo arrivò con succo di frutta e paste di meliga. Con l’angolo del grembiule pulì uno spazio sul tavolo da giardino, per posare spuntino e bicchieri, dopo aver spostato con il gomito le cesoie, alcuni bastoncini di bambù e i guanti da giardinaggio rimasti lì dimenticati.
Il nonno allungò la mano verso il tavolo e Tilde, premurosamente, gli porse il bicchiere ma lui fece cenno di no col capo.
«Vuoi un biscotto?». Ma ancora un no, deciso, infastidito.
«Cosa vuoi nonnino?» disse Alice e lui con le dita indicò le cannette di bambù.
«Queste?» chiese la bambina porgendogliele. Il nonno sorrise, poi si tese verso il cesto da cucito e prese forbici e filo: dispose le bacchette a croce e cercò di legarle maldestramente.
Tilde gli chiese con dolcezza cosa volesse fare e lui, inaspettatamente, pronunciò a fatica: «Carta».
A quella parola inattesa, Alice balzò in piedi, mentre la nonna, ora in piedi anche lei, euforicamente, quasi gridava: «Un aquilone! Vuoi fare un aquilone!».
Il viso del nonno si accese in un sorriso.
«Sai che il nonno» disse Tilde alla bimba, «che ha fatto il maestro per tanti anni, insegnava ai suoi allievi la geometria costruendo aquiloni? Con la carta spiegava come son fatti i triangoli e i rombi e anche gli angoli retti! Li studierai anche tu più avanti. Ora vai dalla mamma e chiedile, per piacere, carta sottile, come quella che c’è nelle scatole delle scarpe, e prendi anche lo scotch, la pinzatrice e anche i tuoi pennarelli».
Alice schizzò verso casa per tornare poco dopo con tutto il materiale.
La nonna si mise al lavoro: il nonno annuiva; la bimba un po’ aiutava, un po’ saltellava elettrizzata. In un niente, un grande aquilone, con i quadranti decorati da Alice e la coda di anelli di carta, fu pronto.
Intanto si stava alzando la fresca brezza del tramonto: sembrava venuta apposta per sollevare la loro opera. Qualche tentativo incerto e poi ecco che carta, disegni, ricordi, desideri e amore volarono in alto, fremendo al vento come foglie di pioppo, trattenuti appena dal filo sottile.
«Mamma! Corri! Vieni a vedere i triangoli volanti!» gridava la bambina  battendo le mani.
In cielo, l’aquilone colorato inseguiva nuvole rosa e voli di cornacchie dirette ai posatoi notturni.
Sul tavolo sotto il pergolato brillavano leggermente le impronte iridescenti delle bolle di sapone.
Il nonno guardò in alto, lontano e rise.                                                                                                                     

Nessun commento:

Posta un commento