giovedì 4 febbraio 2016

Cristina Petrini, Il profumo della memoria

Sabato mattina, inizio di settembre. Troppo vicino alla fine delle vacanze per potersi prendere una nuova pausa. Ma qui non si trattava di una pausa. Occorreva lasciare andare via una cosa molto importante.
Erano nel piccolo orto antistante la vecchia casa di Amalia. Quante cose da salvare, prima che i nuovi proprietari prendessero possesso di ciò che avevano acquistato. Ci sarebbe voluto molto più tempo, ma mio padre non avrebbe potuto rimandare di un paio di settimane l’appuntamento con gli svuotatori di case? Avevano provato a farlo loro ma c’era troppa roba ammucchiata, troppa ‘rumenta’. E così quel giorno era andata solo l’anziana zia a controllare e a mettere in salvo e loro come degli stupidi a lavorare mentre avrebbero dovuto essere lì con lei.
«Avevo messo da parte quel servizio di bicchierini di vetro sottile, ma quelli avevano fretta di finire, un colpo e via erano lì a terra, calpestati. Non sono arrivata in tempo neanche a salvare la vecchia culla in legno e la seggiolina di canne da bimbi. Erano troppo lesti ed io troppo lenta ad intervenire nel dire quello sì e quello no. Però questo attaccapanni in legno l’ho messo da parte e anche la pietra pomice a forma di fuso e la vecchia caffettiera alla napoletana e il macinino a mano…» disse zia Tere.
In tutti quegli oggetti risiedeva una parte della sua memoria di bambina. Era lì depositata, ma viva nella mente. Riguardare quei singoli pezzi nel momento in cui avrebbero per sempre lasciato quel posto e trovato un'altra collocazione le diede la sensazione di fine. La nonna Amalia se ne era andata molti anni prima, ma finché loro erano tornati ogni primavera per fare l’orto, a mangiare carne alla griglia sotto la ‘topia’ all’ombra della vite di uva fragola  e a prendere il caffè nelle sue tazzine, era come se lei fosse rimasta lì.
Avevano recuperato tutto il possibile, ma quella mattina era come se nessuno volesse abbandonare il posto.
Cominciò a gironzolare per l’orto, da anni non più coltivato e ricoperto da un bel manto di erbetta verde che il vicino aveva provveduto a tenere ad altezza accettabile. Andò a visitare il melograno che aveva piantato suo fratello e l’alloro accanto. Poi si avvicinò a dove crebbe il suo pino. I vicini avevano voluto che lo abbattessero perché avrebbe potuto cadere sulla strada. Fandonia, terribile. Raccolse un pezzo di corteccia per tenerlo come reliquia di albero e di fanciullezza. S’ avvicinò al piccolo appezzamento delle rose per trarne alcune e farne talee da ripiantare e lo stesso fece con i bulbi dei giacinti. Dietro la ‘topia’ sua nonna teneva un pezzetto di terra dedicato ai giacinti e ogni aprile quel pezzetto diventava tutto rosa e verde e profumatissimo. Allo stesso modo in maggio fiorivano le rose di diverse varietà e colori. Con una piccola zappa rimosse alcuni bulbi.
«Abbiamo preso tutto?»
«No, aspetta ancora un momento».
Volle guardare ancora una volta la casa, dentro: la cucina che d’inverno sapeva di brodo di carne e poutagé, la cantina piena di attrezzi da campagna e bacinelle e secchi, con il piccolo lavello in pietra e un unico rubinetto di acqua fredda; la scala lunga e dagli alti gradini che portava di sopra con il mancorrente in legno che suo padre aveva costruito per renderla più sicura. E poi ancora le camere che sapevano di polvere e naftalina e vecchi libri nascosti dietro tende negli armadi a muro. Volle affacciarsi alla finestra ancora una volta prima di chiudere la ‘gelosia’. Che bel pezzo di terra piana aveva la nonna proprio di fronte a casa. Peccato non aver potuto tenerla. Peccato davvero.
Ancora pochi passi in giardino, un’occhiata al pollaio. Si va, si lascia.
La macchina è carica di un sacco di cose che troveranno altrove un nuovo posto. Le rose continueranno a fiorire e lo stesso faranno giacinti. Li ha piantati con cura e spera che si trovino bene nel nuovo terreno meno argilloso, più roccioso. Ci vorrà magari un po’ di tempo per attecchire.
Ma c’è già un nuovo aprile, un nuovo maggio. I giacinti spuntano verdissimi tra il verde tenero. Hanno passato l’inverno. Le rose germogliano sui vecchi ceppi.
Si china ad annusare il grappolo dal color rosa tenue, lo accarezza e quello che sente per lei è tutto. È inizio.

Cristina Petrini vive a Rivalta e ha pubblicato due romanzi: 
Niente è come il mare, Edizioni Seneca
Camminando sul confine, Echos edizioni                                                         


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