martedì 21 luglio 2015

I sorrisi di Yasir, di Elisa Bevilacqua

«Ciao, come va?»
«Bene, grazie Yasir. E tu? »
«Bene, grazie, bene, bene».
«E come stai?»
«Bene, Yasir, tutto bene, grazie. E tu, tu come stai? »
«Bene, grazie, bene, bene».
I nostri malconci inglesi non ci consentono conversazioni più ardite, così ci aggiustiamo con queste scarne frasi in italiano e ci spertichiamo in grandi sorrisi.
Tra l’altro, dal punto di vista linguistico, lui non ha torto: “come va” è diverso da “come stai”.
Se fosse per me, me lo abbraccerei tutto, questo ragazzone pakistano dal viso aperto e gioviale, mi farei strizzare, ma sono una donna e ho vent’anni più di lui, non so come la prenderebbe. Diamine, potrei essere sua madre!
Così ci limitiamo a grandi dispiegamenti e distensioni di labbra e a chiederci venticinque volte in un minuto come stai e come va.
Ma fa lo stesso. Perché l’importante è stabilire un contatto, e in questo gli occhi valgono molto, molto di più della voce.
Possiamo anche stare in silenzio e ci capiamo lo stesso.
Non so quasi nulla di lui, se non che ha ventitré anni, era un sarto, arriva da un villaggio di montagna del Pakistan e ora – dopo un terribile viaggio su un “barcone” dalla Libia – è su queste altre montagne, quelle che chiamiamo “nostre”, attendendo un futuro.
Per fortuna, mentre aspetta di conoscerlo, questo domani, ha incontrato più gente sorridente che persone che digrignano i denti o blaterano di ruspe, perché quando un altro essere umano lo guardi negli occhi e ascolti la sua storia, di parlare di ruspe e di espulsioni e di “quanto costa” te ne scordi.
Nel senso che proprio te lo dimentichi. Se hai un cuore, certo.
E lui sorride così bene. Potrebbe inventarsi un lavoro: docente di corso di sorrisi. Formatore in sorrisi. Personal coach di sorrisi. Trainer di sorrisi.
Io mi ci iscriverei, a un corso di sorrisi di Yasir.
Perché con tutto quello che deve aver visto, con il viaggio che ha fatto, con l’ostilità che pure ha incontrato, con l’assenza di notizie dai suoi famigliari, con una vita rivoltata come un calzino, ringrazia posando la mano sul cuore. E sorride.

E allora, c’è una sola, unica cosa da fare: restituire. 

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