lunedì 2 marzo 2015

Stefania Bertola

Un lieve inconveniente del mio mestiere di Editor è che quando mi capita tra le mani un romanzo, non riesco più a vederlo “soltanto” come un piacere; non riesco a lasciarmi trascinare come un peso morto dal concatenarsi degli eventi, ma cerco di carpirne i segreti, di leggere tra le righe, i paragrafi, i capitoli, per scovare i trucchi che l’autore (soprattutto se si tratta di un grande autore) ha saputo maneggiare con destrezza.
In questo modo il divertimento non solo non diminuisce, ma aumenta in modo proporzionale alle bravura dello scrittore: scoprire al di sotto delle parole una rete di filigrana intrecciata magistralmente è una delizia per le meningi.
Quando poi lo scrittore riesce ad intrufolare nelle maglie della trama veri e propri “consigli di scrittura”, quando cioè il romanzo stesso diventa argomento, tema, personaggio, allora mi sento come Winnie the Pooh tuffato nel miele.
Ed è esattamente questo che è accaduto nel corso della lettura di libri come La verità sul caso Harry Quebert, di Joël Dicker, o Argento vivo di Marco Malvaldi o appunto Romanzo rosa di Stefania Bertola.
Io e Stefania Bertola
Ho letto Romanzo rosa al momento in cui stavo preparando le presentazione di un altro romanzo dell’autrice, ovvero Ragazze mancine (leggete anche questo mi raccomando) e, devo ammetterlo, lo avevo iniziato un po’ per dovere. Immaginate la mia entusiastica meraviglia quando ho scoperto che il tema conduttore era un corso su Come scrivere un romanzo rosa in una settimana, tenuto addirittura al Circolo del lettori di Torino.
La trama del romanzo è sdoppiata su due binari che corrono paralleli, ma si intrecciano (contravvenendo a tutte le regole della geometria euclidea): le lezioni di Leonora Forneris ai suoi assortiti allievi, e il romanzo che la protagonista-narratrice scrive a casa. 
Il trait-d’union sono le inusitate regole di scrittura, sorprendentemente lontane da tutto quello che potreste sentire ai miei corsi.
Ad esempio: l’ambientazione geografica del vero romanzo rosa, altrimenti detto Melody, deve essere approssimativa, da infarinatura wikipedica. I nomi dei protagonisti assurdi e, possibilmente, inventati unendo sillabe sonoramente evocative. I personaggi stereotipati nei luoghi comuni che tutti attribuiscono loro (l’italiano mammone e dai colori mediterranei, il greco statuario come un dio); i loro comportamenti assolutamente contemporanei; anche se la vicenda è ambientata in un villaggio scozzese del Cinquecento o sulle sponde di un Mississippi ottocentesco, i loro dialoghi saranno pieni di esclamazioni come “Ti sbagli alla grande” o “Ma che me ne importa”.
Così, tra un consiglio e l’altro, tra una risata a labbra strette ed una spanciata, ho cominciato a vedere un mondo del tutto nuovo: il best seller di rapido consumo.

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