Uno
dei punti più difficili dei miei corsi, quando il rischio-sbadiglio è
altissimo, è il momento in cui parlo dell’autore
implicito; un concetto astratto, che la narratologia considera decisamente
importante, con mio totale accordo, ma che nella pratica sembra del tutto inutile.
Eppure così non è.
Quando
ho incontrato Antonio Manzini, per presentare con lui La costola di Adamo alla libreria di Rivalta, ho finalmente
scoperto “dal vivo” chi è l’autore implicito. A metà strada tra l’autore e il
lettore ci sono infatti diverse personalità che si insinuano a mediare le parti
della narrazione. Il narratore è naturalmente il più evidente, cioè colui che
si occupa di raccontare la storia, sia egli interno alla stessa oppure no. Ma,
tra le righe, e in modo talvolta inconscio, si insinua qualcuno che non è il
narratore e nemmeno l’autore. È qualcuno che sta a metà tra l’invenzione dell’autore
e l’autore stesso, qualcuno che, mentre leggiamo il romanzo, viene creato da
noi come colui che ha scritto la storia (avete capito quanto è noioso l’argomento?). Provate a leggere un romanzo di cui non
conoscete l’autore: alla fine vi sarete creati uno scrittore ad hoc. Se vi
siete immersi nella campagna inglese, tra cottage zeppi di libri e tavolini da
tè, vi sarete immaginati magari una scrittrice dedita al lavoro a maglia e alla
coltivazione di rose. Ed ecco che, alla prima presentazione, o alla prima
intervista che leggete su un settimanale, scoprite che l’autore è un giovane
laureato in Lingue, con una passione per Agatha Christie e Jane Austen.
Oppure,
durante la lettura di un poliziesco ambientato nella mafia del sud Italia,
avrete pensato ad un giornalista o ad un ex-magistrato che vive sotto scorta. Grande
sarà la vostra sorpresa nello scoprire che invece si tratta di una giovane
autrice molto ben documentata.
Questo
accade perché molte delle informazioni che avete creduto di ricevere in realtà
non le avete ricevute, ma le avete costruite voi da ciò che l’autore ha
comunicato in maniera implicita, tra le righe.
Leggendo
Pista nera e La costola di Adamo, di Antonio Manzini, mi ero fatta l’idea di uno
scrittore tormentato, dal passato doloroso; un romano che detesta le abitudini
del nord Italia, il freddo, la neve e i valdostani in particolare, con il loro
accento simil-francese e la loro imperturbabilità. In pratica mi aspettavo un
altro Rocco Schiavone, ovvero il vice questore protagonista dei suoi
polizieschi: un tetro e solitario vedovo, dalle abitudini poco limpide, costretto
a vivere ad Aosta per scorrettezze professionali.
Ero
pronta per una presentazione complessa, dove avrei dovuto restare in disparte
ma cercando di tenere allegro il pubblico, di non fargli sentire il peso di uno
scrittore che non alza lo sguardo dalle sue ginocchia.
Poi
l’ho conosciuto.
Antonio
Manzini è un personaggio solare, dalla risata sempre pronta; le sue battute si
susseguivano così rapidamente da non lasciare il tempo per prendere fiato tra
una e l’altra. Le mie domande, accuratamente preparate, sono rimaste su un foglio
di carta, mentre il nostro diventava un vero e proprio show improvvisato di
botta e risposta, in cui senza accorgermi avevo assunto il favoloso ruolo di
spalla. E mi calzava a pennello!
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