In
una cittadina di provincia vengono accolti dei rifugiati. Liberi di uscire dal
centro, una ex caserma, imparano l’italiano, l’integrazione e un mestiere,
tentando di dimenticare le lame e le bombe. Finché una notte qualcuno lancia
delle molotov e, per la loro sicurezza, i profughi vengono rinchiusi. La
Polveriera da rifugio si trasforma in prigione.
Gli
equilibri si sgretolano e il centro, dal nome emblematico, si trasforma in un
ordigno ad orologeria. Il clima, dentro e fuori, si surriscalda e un paese
tranquillo vede i suoi abitanti, pacifici e accoglienti, trasformarsi in
razzisti colmi d’ira, guidati dalle farneticazioni di qualche esaltato.
Al
centro di questo vortice in ebollizione c’è un ex galeotto, che vive in una
baracca con cani abbandonati, suoi compagni di vita. Lui è l’obiettivo, insieme
agli stranieri, di tre personaggi inquietanti e, ahimè, credibili. Il primo è
il capo, un giovane che coinvolge nella sua follia due gregari, frustrati e
pronti alla violenza.
Il
paese assiste parteggiando inconsapevole; i genitori non vedono, o tentano di
non vedere. Attorno e sopra di loro i
carabinieri, comprensivi ma vigili, provano ad arginare qualcosa che forse è
troppo grande.
Marco
Neirotti disegna con Ti ammazzerò stasera
un’Italia orribilmente attuale, con leader che gridano ai microfoni
riecheggiando frasi ascoltate dai lamentosi da bar, soffiando su una fiammella
per farla diventare rogo purificatore.
Il giovane sindaco aveva risposto all’arrivo
dei quaranta richiedenti asilo con apprensione, ma senza isterismi. Il prefetto
venne ad illustrare alla cittadinanza tempi e regole dell’emergenza. Ma su tutto
soffiava il nuovo giro di elezioni. […] I pochi diventavano tanti: borbottii
presto bestemmia, sui social frasi impensabili da quella gente, titoli dei tg
improbabili specchi della realtà di casa.
«Ho
scritto questo libro otto mesi fa» spiega Neirotti ai microfoni del Salone del
Libro, «e purtroppo si è rivelato premonitore».
«Questo
grido di allarme riguarda un problema nato in provincia» sottolinea Bruno
Quaranta nel corso dell’intervista. «A differenza della grande città, la
provincia ha difese diverse, altre priorità».
«Verissimo»
conferma Neirotti, «sono ambienti diversi, ma i social abbattono i confini tra
città e provincia. Per questo non mi stanco di ripetere che dobbiamo avere idee
nostre, non rinunciare alla curiosità, non rinunciare ad imparare. Come
giornalista, ho fatto reportage in ambienti difficili. Sono stato barbone,
carcerato, ho incontrato persone che mi hanno insegnato tanto e ho scritto di
loro».
A
noi non resta che leggere il suo romanzo e imparare.
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