Sabato
mattina, inizio di settembre. Troppo vicino alla fine delle vacanze per potersi
prendere una nuova pausa. Ma qui non si trattava di una pausa. Occorreva
lasciare andare via una cosa molto importante.
Erano
nel piccolo orto antistante la vecchia casa di Amalia. Quante cose da salvare,
prima che i nuovi proprietari prendessero possesso di ciò che avevano acquistato.
Ci sarebbe voluto molto più tempo, ma mio padre non avrebbe potuto rimandare di
un paio di settimane l’appuntamento con gli svuotatori di case? Avevano provato
a farlo loro ma c’era troppa roba ammucchiata, troppa ‘rumenta’. E così quel
giorno era andata solo l’anziana zia a controllare e a mettere in salvo e loro come
degli stupidi a lavorare mentre avrebbero dovuto essere lì con lei.
«Avevo
messo da parte quel servizio di bicchierini di vetro sottile, ma quelli avevano
fretta di finire, un colpo e via erano lì a terra, calpestati. Non sono
arrivata in tempo neanche a salvare la vecchia culla in legno e la seggiolina
di canne da bimbi. Erano troppo lesti ed io troppo lenta ad intervenire nel
dire quello sì e quello no. Però questo attaccapanni in legno l’ho messo da
parte e anche la pietra pomice a forma di fuso e la vecchia caffettiera alla
napoletana e il macinino a mano…» disse zia Tere.
In
tutti quegli oggetti risiedeva una parte della sua memoria di bambina. Era lì
depositata, ma viva nella mente. Riguardare quei singoli pezzi nel momento in
cui avrebbero per sempre lasciato quel posto e trovato un'altra collocazione le
diede la sensazione di fine. La nonna Amalia se ne era andata molti anni prima,
ma finché loro erano tornati ogni primavera per fare l’orto, a mangiare carne
alla griglia sotto la ‘topia’ all’ombra della vite di uva fragola e a prendere il caffè nelle sue tazzine, era
come se lei fosse rimasta lì.
Avevano
recuperato tutto il possibile, ma quella mattina era come se nessuno volesse
abbandonare il posto.
Cominciò
a gironzolare per l’orto, da anni non più coltivato e ricoperto da un bel manto
di erbetta verde che il vicino aveva provveduto a tenere ad altezza
accettabile. Andò a visitare il melograno che aveva piantato suo fratello e l’alloro
accanto. Poi si avvicinò a dove crebbe il suo pino. I vicini avevano voluto che
lo abbattessero perché avrebbe potuto cadere sulla strada. Fandonia, terribile.
Raccolse un pezzo di corteccia per tenerlo come reliquia di albero e di
fanciullezza. S’ avvicinò al piccolo appezzamento delle rose per trarne alcune
e farne talee da ripiantare e lo stesso fece con i bulbi dei giacinti. Dietro
la ‘topia’ sua nonna teneva un pezzetto di terra dedicato ai giacinti e ogni
aprile quel pezzetto diventava tutto rosa e verde e profumatissimo. Allo stesso
modo in maggio fiorivano le rose di diverse varietà e colori. Con una piccola
zappa rimosse alcuni bulbi.
«Abbiamo
preso tutto?»
«No,
aspetta ancora un momento».
Volle
guardare ancora una volta la casa, dentro: la cucina che d’inverno sapeva di
brodo di carne e poutagé, la cantina piena di attrezzi da campagna e bacinelle
e secchi, con il piccolo lavello in pietra e un unico rubinetto di acqua fredda;
la scala lunga e dagli alti gradini che portava di sopra con il mancorrente in
legno che suo padre aveva costruito per renderla più sicura. E poi ancora le
camere che sapevano di polvere e naftalina e vecchi libri nascosti dietro tende
negli armadi a muro. Volle affacciarsi alla finestra ancora una volta prima di
chiudere la ‘gelosia’. Che bel pezzo di terra piana aveva la nonna proprio di
fronte a casa. Peccato non aver potuto tenerla. Peccato davvero.
Ancora
pochi passi in giardino, un’occhiata al pollaio. Si va, si lascia.
La
macchina è carica di un sacco di cose che troveranno altrove un nuovo posto. Le
rose continueranno a fiorire e lo stesso faranno giacinti. Li ha piantati con
cura e spera che si trovino bene nel nuovo terreno meno argilloso, più
roccioso. Ci vorrà magari un po’ di tempo per attecchire.
Ma
c’è già un nuovo aprile, un nuovo maggio. I giacinti spuntano verdissimi tra il
verde tenero. Hanno passato l’inverno. Le rose germogliano sui vecchi ceppi.
Si
china ad annusare il grappolo dal color rosa tenue, lo accarezza e quello che sente
per lei è tutto. È inizio.
Cristina Petrini vive a Rivalta e ha pubblicato due romanzi:
Niente è come il mare, Edizioni Seneca
Camminando sul confine, Echos edizioni
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