Può accadere
così, che in un paese di montagna si radunino un centinaio di persone, una sera
qualunque, semplicemente per ascoltare. Nessun video ad effetto, nessuna
musica, solo parole, parole che raccontano la montagna.
Tutto nacque
da un’idea di Alfio Usseglio, in collaborazione con la sezione CAI di Coazze, di cui è presidente. Appassionato da sempre
di sport alpini, frequentatore di cime e valli in tutte le stagioni, la sua
concezione di montagna è a tutto tondo: non solo turismo e attività fisica, ma
cultura, lingua e storia.
I nostri monti
italiani, le Alpi in particolare, non sono solamente antiche tradizioni e
racconti dei nostri vecchi, ma sono stati teatro di guerre e battaglie, sono rifugio
per ribelli e rifugiati, scenario di
guerriglia e liberazione.
Nella nostra
piccola Val Sangone è nato lo sci alpino, quando, nel 1896, Adolfo Kind salì a
Giaveno e da lì a Pra Fieul, da dove raggiunse il Cugno dell’Alpet, per scendere
con i suoi ski in legno e far nascere così lo sci.
Sport e
storia, sci e cultura non possono dunque che essere legati. Per cercare le
radici di quei legami Alfio ha invitato due ospiti perfetti: Enrico Camanni e Gianni
Oliva.
Carpegna, Camanni, Usseglio e Oliva |
Camanni,
scrittore, giornalista, alpinista, è autore di due testi che vengono presentati
nel corso della serata e che spostano il punto di vista di chi osserva la
montagna. Il fuoco e il gelo, saggio
che raccoglie le testimonianze dei soldati in trincea durante la Prima Guerra
Mondiale, quando i monti erano luoghi da conquistare, da abitare e scalare
anche sotto le valanghe, o sui ghiacciai in inverno. Il secondo libro, Alpi ribelli, è una lunga carrellata sui
personaggi storici, magari non sempre conosciuti, che hanno fatto dei monti un
rifugio e un nascondiglio.
Ad Oliva,
storico, saggista, docente e personaggio politico, spetta il compito di
evidenziare, traendo dai suoi moltissimi saggi, l’idea di una montagna
differente.
«Per riuscire
a comprendere l’importanza dei monti nella storia, dobbiamo tornare indietro nel
tempo».
Così nelle
parole introduttive di Gianni Oliva si apre il racconto, e gli occhi degli
spettatori non vedono più un tavolo su un palco, ma cime spoglie e valli
splendenti di erba grassa, percorsi di animali, pastori, mercanti, movimenti di
gente e di eserciti. Le valli si trasformano, i crinali non sono più i confini
che rappresentano adesso, ma comunicazione e snodo.
I sentieri erano
percorsi in continuazione in estate, come le vie più rapide per collegarsi con
i paesi oltre le creste, e i crinali non dividevano, ma univano. Basti vedere la
distribuzione dei dialetti, che valica le cime e si arresta a fondo valle.
«I popoli si
mescolavano. I giovani andavano nelle valli vicine per cercare le ragazze e
sposarle» spiega Enrico.
D’inverno
tutto si fermava, in attesa, ma le slitte, le racchette, che noi ora chiamiamo
ciaspole, i primi sci erano molto più agili dei carri.
Per due ore restiamo ad ascoltare, incantati dalle loro parole, da ciò che evocano. Le loro
frasi dipingono immagini forti, memorabili. I primi sciatori sul fronte orientale,
che scivolano sugli sci nelle loro tute bianche verso il nemico; la mitragliatrice che
scarica il suo metallo, tingendo di rosso i corpi e la distesa di neve, in una
carneficina. Le nostre baite che, dopo l’8 settembre 1943, vengono raggiunte da
chi rifiutava il fascismo, e che era salito, magari, sul primo treno che
portava in montagna per poi organizzarsi in bande partigiane. La prima vittima
di Coazze, Evelina Ostorero, di soli sedici anni, uccisa perché non aveva
risposto all’Alt, essendo sordomuta.
La storia va
imparata, anche da questo. E se non è più possibile ascoltare le testimonianze
dirette di chi l’ha vissuta e creata, va cercata nei libri di storia.
«Gli anni
passano e il rischio di perdere le fonti è enorme. I ragazzi devono conoscere
il Novecento, le due guerre, ma anche gli Anni di Piombo, i movimenti politici
fino ai giorni nostri. Tutto ciò che viene prima, può essere sintetizzato, ma l’ultimo
secolo va approfondito al massimo». Così Oliva, preside e insegnante, vede l’importanza
dello studio scolastico.
«I nostri
ragazzi spesso non conoscono i fatti e, purtroppo nemmeno la geografia. Come si
può comprendere l’importanza degli eventi se non si sa collocarli?» commenta
Camanni.
La serata, purtroppo, volge al termine. Il pubblico lentamente esce dal Palafeste, aspettando il prossimo incontro, che speriamo avvenga prestissimo.
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