Siamo in estate,
a Torino, il sole caldo è piacevole, come anche l’ombra fresca dei portici di
Piazza Statuto. Anita, camice addosso, è dietro il bancone della tabaccheria
dei suoi genitori; è consapevole della propria bellezza, meno della propria
intelligenza, d’altro canto, cosa serve a una bella donna? Un matrimonio e
tanti figli, magari con un biondone statuario e sempre allegro, che in più l’adora.
Con lei c’è la
perenne Clara, amica da sempre, lei sì consapevole della propria brillantezza
di meningi, anche perché il suo fascino è un po’ meno appariscente, diciamo. Insieme
fanno una coppia bislacca, perfettamente funzionante, sebbene abbiano progetti
ben diversi.
Eppure, giunta
al momento del fatidico sì, Anita tentenna e chiede una proroga al bel
vichingo: sei mesi per lavorare e diventare una madre ancora migliore. Seppur
sbalordito, il ragazzo accetta e Anita entra a far parte delle edizioni Monné,
ovvero Monnet, ma con un nome più adatto al periodo. Già, perché siamo nel
1935, il fascismo è nel momento di massimo splendore e i torinesi, pur con il
loro à plomb (appiombo?) devono adeguarsi e italianizzare tutto, per
compiacere Monsù Cerutti.
Ma allora come
mai la rivista Saturnalia può permettersi di pubblicare autori
americani? E per di più hard boiled? E cosa potrebbe accadere se qualcuno
osasse parlare di un delitto compiuto da un eroe di guerra?
Con il solito
piglio energico, Alice Basso ci farà scoprire il mondo nascosto della cultura
italiana del ventennio, inserendo tra una battuta e una scena da brivido la
Storia che dovremmo tutti conoscere.
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