Nella Torino ghiacciata la fragilità umana diventa forza
Il suo ultimo romanzo, Uscimmo
a riveder le stelle, ci mostra una Torino futuristica avvolta dalle nubi e
dal freddo. Da cosa è nata l’idea di ambientare il suo scritto nel 2033?
R. I personaggi del
romanzo dovevano muoversi in uno scenario totalmente inospitale, quindi diverso
da quello a cui siamo abituati. Era necessario inventare un evento che creasse
il nuovo scenario. Non volevo allontanarmi dai luoghi che mi sono familiari,
quindi ho immaginato Torino nel 2033 dopo un cambiamento climatico improvviso
causato da due eventi concomitanti: un terremoto e un’eruzione vulcanica.
Tutto ha inizio a causa di due avvenimenti catastrofici: l’eruzione
di un vulcano situato in Alaska e il temuto Big One, il terremoto devastante in
California. Si è ispirata a fatti di cronaca o è stata la sua creatività a
suggerire questo possibile scenario?
R. Purtroppo la cronaca
negli ultimi dieci anni mi ha fornito molti spunti. L’eruzione del vulcano
islandese dal nome impronunciabile che causò l’interruzione dei collegamenti
aerei per un mese, lo tsunami in Giappone, i terremoti dell’Aquila,
dell’Emilia, del centro Italia…
I cambiamenti climatici sono spesso fonte di notizie sui media,
ma non spaventano quanto invece le azioni violente dell’uomo. Pensa che la
massa fatichi a comprendere fino in fondo la portata dei mutamenti ambientali
causati dall’uomo?
R. Vero, le guerre, anche
quelle lontane, spaventano di più. Il cambiamento climatico invece è accettato
con un certo fatalismo anche dalle persone più consapevoli e informate. Alcuni
ritengono che sia il prezzo da pagare per non dover rinunciare al benessere
conquistato dai cosiddetti paesi sviluppati, altri preferiscono pensare che
l’attività umana non sia responsabile di tale cambiamento. Quando i fatti sono
indipendenti dalla nostra volontà, si tende a rimuoverli, per non dover
ammettere i nostri limiti. È più rassicurante parlare di una tragedia, come la
guerra, causata completamente dall’uomo che di un cataclisma fuori dal nostro
controllo. Ammettere che le cose accadono indipendentemente da noi, obbliga a
pensare e a riflettere su argomenti scomodi e difficili.
Amitav Gosh ha presentato al Salone del libro di Torino una conferenza
sul clima che ha avuto echi e ripercussioni nel mondo letterario. La sua tesi è
che la letteratura non parli di cambiamenti climatici in atto. Lei pensa che ci
sia un reale timore ad affrontare simili tematiche?
R. Quando ho letto l’intervista
di Amitav Gosh, ho pensato che se una persona del suo calibro si interrogava
sull’assenza, nei romanzi, del tema cambiamento climatico, beh allora, con il
mio Uscimmo a riveder le stelle stavo
accogliendo il suo invito, ma anche correndo un bel rischio. Perché indubbiamente
il tema è difficile. C’è il pericolo di scivolare nel genere apocalittico,
oppure nella fantascienza. Gosh ha ragione. Per uno scrittore affermato è
meglio evitare il tema, sa che i lettori preferiscono argomenti anche crudi, ma
meno inquietanti: in un thriller c’è sempre un bravo commissario che risolve il
caso, in una storia di violenza si può sempre individuare il cattivo. Ma se il
terremoto distrugge il centro storico dell’Aquila è difficile impostare lo
schema classico: protagonista- antagonista. Un romanzo non è un’inchiesta o un
articolo di giornale, in cui si può andare a caccia dei colpevoli partendo
dall’inefficienza dei soccorsi o dai ritardi della ricostruzione.
L’incipit di Uscimmo a
riveder le stelle è folgorante: mostra un’umanità sperduta perché isolata
da Internet e da quelli che ormai sono diventati i nostri rapporti umani: i
Social Network. Nelle pagine successive, i personaggi si sono perfettamente
adeguati al nuovo ordine delle comunicazioni. Vede questo cambiamento come
positivo? Si spinge ad auspicare un ritorno alla comunicazione verbale o
personale?
R. No, ovviamente. Spero
proprio che ciò che racconto nel romanzo non debba mai succedere. Lo scenario
del romanzo è il pretesto per porre il tema. Ritornando a Gosh, penso che la
paura di ciò che sfugge al nostro controllo non debba impedirci di porci
domande su come possiamo affrontare situazioni spiazzanti, senza, per questo,
restare schiacciati dalla consapevolezza della nostra fragilità. Perché questo è
il punto. A nessuno piace ammettere di essere impotente e fragile, soprattutto
all’uomo occidentale che è ancora immerso nel mito novecentesco del valore
salvifico della scienza. Un terremoto, l’eruzione di un vulcano sono eventi che
l’uomo non può controllare. L’idea di dover subire le conseguenze tragiche di un
fenomeno naturale è inaccettabile per alcune persone. Purtroppo però, bisogna
accettare la realtà. La realtà ci dice che, nonostante gli enormi progressi
compiuti dall’umanità, ci sono ancora forze che non possono essere controllate.
E allora? Possiamo parlarne? E magari scopriremo che è possibile andare oltre.
La storia ci insegna che
l’umanità non si è mai arresa davanti agli eventi più tragici. Lo spirito di
sopravvivenza è ben radicato nei nostri geni. L’uomo, sia come individuo sia in
quanto animale sociale, è capace di affrontare qualsiasi prova e di rigenerarsi
in modo sorprendente. È successo quando le grandi civiltà dell’Africa e
dell’Asia minore sono finite, è successo quando la peste ha decimato la
popolazione in Europa, è successo quando le carestie hanno costretto
popolazioni intere a migrare alla ricerca di nuove terre, sta succedendo oggi sotto
i nostri occhi, ogni giorno, a persone diverse e dalle quali qualcuno si sente
minacciato.
Mi sono chiesta: e se succedesse
anche a noi?
Questo ultimo romanzo si stacca nettamente dalla sua produzione
letteraria precedente: due saggi storici e un romanzo di introspezione
fortemente legato alla storia italiana del Novecento. Questo romanzo distopico,
ambientato in un futuro freddo e senza sole, ha comunque un collegamento con le
sue opere precedenti? Qual è il filo conduttore?
R. L’ambientazione e la
trama dei libri sono sempre lo spunto per parlare di qualcosa che ci sta a
cuore. Nella vita, secondo me, ciò che conta sono le relazioni umane. Le situazioni,
sia reali sia immaginarie, possono essere diversissime, le relazioni umane invece
rispondono sempre agli stessi sentimenti: amore, amicizia, solidarietà,
condivisione. Naturalmente c’è anche il contrario: l’indifferenza, l’egoismo… Quando
scrivo, sia un saggio storico, sia un romanzo, preferisco mettere in luce i sentimenti
positivi. Mi piace raccontare storie dove ci sono buone relazioni umane. Questo
vale anche in un Uscimmo a riveder le
stelle, romanzo distopico, dove l’ambiente è difficile.
La Storia ha anche in questo libro un’importanza fondamentale,
sia come confronto ai fatti che stanno accadendo nel momento attuale, sia come
passato da non cancellare. Quale potrebbe essere il ruolo della Storia nelle
nostre vite?
R. Sono abituata a
guardare la realtà andando oltre ai fatti in quanto tali, ma confrontandoli a quelli
del passato. E sorprendente la quantità di analogie che vengono fuori. Si ha la
sensazione che il passato continui a ripresentarci scelte e situazioni sempre
uguali, nella sostanza non nella forma. Le stesse sfide, le stesse opportunità.
Noi pensiamo che tutto cambi, ma in realtà non è così.
Renata Stoisa è un’insegnante di Matematica. Come nasce la sua passione
per la scrittura? Qual è stato lo stimolo iniziale?
Invidia verso le colleghe di
lettere? Da ragazzina volevo imitare miei scrittori preferiti. Ho cominciato a scrivere
parafrasando le poesie degli ermetici…
C’è già un nuovo scritto all’orizzonte?
R. Sì, un romanzo storico.
Se dovesse dare un consiglio ad un giovane che vuole tentare la
strada della narrativa, quale sarebbe?
R. Leggere tanto.
Consiglio la lettura di questo romanzo, che mi è piaciuto molto e ora cercherò di dirvi perché.
RispondiEliminaIn Uscimmo a riveder le stelle si affrontano “le rimozioni”, cioè quei temi che, quando si affacciano alla mente, cerchiamo di allontanare perché disturbanti o peggio angoscianti.
Il tema poteva essere un motivo per non incominciare la lettura, ma nel risvolto di copertina ho trovato questa frase:Allora sarà necessario reagire, per dare il via a qualcosa che nessuno aveva immaginato, qualcosa che potrebbe dare finalmente una nuova speranza”.
Mi sono ricordata di ciò che disse un autore di libri per bambini (forse di Rodari?)a proposito delle fiabe popolate da orchi e streghe, ritenute da alcuni adulti troppo angoscianti per i giovani lettori. Diceva: I bambini sanno benissimo che esiste il male, nelle fiabe si insegna come affrontarlo.