I romanzi di Harry Potter sono un mondo in cui, almeno una volta all'anno, voglio rientrare. Non per la trama, che ormai conosco a memoria, ma per i mille particolari che ogni volta scopro; per le sottotrame, che nei film vengono spesso ignorate, per le ambientazioni sorprendenti, per le parole che la Rowling sa usare.
Avevo letto il quarto episodio appena uscito, subito dopo la festa che facemmo nella nostra libreria, nei giorni calmi della prima metà del gennaio 2001. Lo avevo divorato, provando emozioni contrastanti soprattutto per il protagonista, orgoglioso e testardo.
L'avevo riletto, poi, nei giorni precedenti l'uscita del film; ad alta voce, ai miei figli ancora molto piccoli. Lo avevamo gustato fino in fondo e le nostre attese erano state soddisfatte dalla pellicola.
Adesso, dopo aver rivisto il fim almeno una decina di volte, avevo voglia di tornare nello stadio di Quidditch per la coppa, nella tenda straordinaria dei Weasley, volevo incontrare Malocchio Moody, il povero Cedric Diggory, Fleur Delacour e Madame Maxime. E così ho scoperto che il film toglie davvero troppo alla trama, e cambia alcuni punti importanti.
Non che questo sia un vero e proprio difetto, è quasi una necessità. Ma la rilettura mi ha dato emozioni nuove e credo sia quello che ci si deve aspettare dalla letteratura.
Forse la Rowling non entrerà nei manuali universitari, ma di certo è già nelle antologie delle scuole medie e superiori. A pieno merito.