Dicembre,
freddo. Torino è buia, ovattata dalla nebbia, dalla pioggia mista a neve. I
marciapiedi sono ingombri di poltiglia, difficili da percorrere, impossibili per
dormirci la notte.
Il
professor Di Mino cammina guardingo, lungo le stradine deserte della Crocetta,
in una gelida notte di dicembre. La sua casa è blindata, sorvegliata, eppure
non si sente tranquillo; solo una volta entrato tra le sue mura, una volta
ascoltati i respiri lenti della moglie dei figli, potrà forse rilassarsi.
Non
molto lontano, su un binario morto tra due stazioni di Torino, cinque moldavi
dormono su un vagone abbandonato; soltanto uno di loro si accorgerà
dell’incendio che li sta uccidendo e capirà il perché, prima di morire.
Le
luci di Natale non illuminano le strade di Inverno
rosso, se non per sottolineare la povertà e la solitudine di chi vive oltre
i margini della società cosiddetta civile. Werner
non ha oltrepassato quei confini, ma ci è andato molto vicino. Il suo passato
non è di quelli da raccontare agli amici, che poi non sono molti: il suo
carattere chiuso, la sua voglia di restare defilato, nell’ombra, non gli hanno
permesso di creare facilmente legami stabili. Forse per questo trova così
piacevole la compagnia dei clochard, simili a lui, eppure così diversi tra
loro. La loro schiettezza, la loro sincerità burbera e folle sono garanzia di
onestà, quella che Werner fatica a trovare persino in se stesso.
Alfredo
è quello che forse gli somiglia di più, quello per cui si sente protettivo,
Alfredo che viene trovato assiderato davanti a Palazzo Nuovo. Non certo una
notizia da prima pagina, ma Ilenia, cronista di Radio Flash, pensa che invece valga la pena di far sapere
ai suoi ascoltatori cosa è accaduto.
È
l’inizio di un’indagine molto particolare, che porta il lettore a scoprire un
mondo di cui forse preferirebbe non sapere niente.
Con prosa asciutta e schietta, Rinarelli ci guida nel mondo nascosto dei barboni, provocandoci emozioni forti senza inutili orpelli stilistici, ma solo con la narrazione dei fatti.
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